lunedì 30 giugno 2014

Il libbberista e il pensionato

(un appassionato dialogo fra lettori che ritengo di dover portare alla vostra attenzione...)


anto ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Sub tuum presidium...":

[Nota: sicuramente off topic ma non sapevo proprio dove postarlo…]

Il pensionato è quella cosa oggi tanto vituperata e osteggiata al punto che qualsiasi liberista, oggi, può sentirsi in diritto e in dovere di attaccare e criticare. E nonostante innumerevoli riforme che hanno toccato profondamente la previdenza, al punto da renderla ormai pienamente sostenibile (vedi qui, per esempio) , il liberista continua a martellare sul disavanzo pensionistico (per es. secondo Giannino viaggia ormai a 40 miliardi annui) e quindi sulla necessità/urgenza di sottrarre senza indugio ulteriori fondi agli esosi pensionati.

Ora, premesso che il liberista nostrano quasi sempre tratta ed utilizza i dati come fossero cicoria, vediamo da dove nasce il “disavanzo previdenziale” del nostro.

Presto fatto. E’ sufficiente andare nel Bilancio sociale Inps: uscite per pensioni 242 miliardi di euro, entrate da contributi circa 200 miliardi di euro = all’incirca deficit di 40 miliardi di euro (anzi “40 bn”, come dice lui).

Questo, come meglio si vedrà in seguito, è un classico esempio di pessima informazione.

PRIMO ERRORE

Tanto per cominciare non tutte le pensioni pagate dall’Inps lo sono a titolo previdenziale. Ci sono quelle per la GIAS (Gestione per interventi assistenziali) e quelle GPT (Gestioni prestazioni temporanee) a sostegno del reddito che, ovviamente, non c’entrano nulla con le pensioni (sono assistenza).
Dal lato dei contributi bisogna togliere i contributi versati dallo stato per i propri dipendenti pubblici (il che è evidente) pari a circa 10,5 miliardi.
Quindi il quadro è:

Spese pensionistiche: 211 miliardi ( al netto di 31,7 di GIAS e GPT)
Contributi: 190 miliardi (al netto dei contributi dello stato)

E il disavanzo del nostro si è quindi già ridotto, di colpo, a 21 miliardi (anzi 21 bn, come direbbe lui)
Ma andiamo avanti.

SECONDO ERRORE

Nella foga liberista, il nostro omette di considerare che il dato sopra veduto riferito alle pensioni (211 miliardi) comprende anche le imposte che lo Stato trattiene sulle pensioni.

Questo dato nel 2012 era pari a quasi 46 miliardi di euro.

Mettiamoci allora nei panni dello stato nel 2012 (stato, inps, inail ec., non fa differenza) e vediamo quanto io - Stato – ci guadagno o ci rimetto.

Vediamo: pago 211 di pensioni e incasso 190 di contributi. Quindi sono sotto di 21 miliardi. Ma nel mentre pago le pensioni faccio pure 46 miliardi di ritenute fiscali ! quindi, IN REALTA’, pago solo 165 miliardi di pensioni (211-46). E se pago solo 165 miliardi di pensioni ( al netto delle ritenute fiscali) io Stato ci ho guadagnato, nel 2012 – udite udite – ben 25 miliardi di euro (190-165).


E’ strano come una salita possa diventare una discesa e un deficit di 40 miliardi un avanzo di 25


Del resto basta andarsi a vedere il Rapporto n. 1 del Bilancio del Sistema previdenziale italiano del 2014 (sicuramente il più autorevole in materia e diretto discendente dei vecchi Bilanci NVSP), disponibile in www.itinerariprevidenziali.it per leggere (nelle conclusioni, pagina 58):
“ III. Spesa e fiscalità: nella valutazione dei risultati [quelli riferiti alla incidenza sella spesa per pensioni sul Pil, NdA] occorre fare attenzione poiché la spesa per pensioni E’ AL LORDO DEL CARICO FISCALE che per l 2012 è ammontato a 45,9 miliardi…. I 45,9 miliardi sono per lo Stato UNA PARTITA DI GIRO PER CUI LA SPESA DI 211,103 MILIARDI in realtà si riduce a 165 MILIARDI di €”
CHIARO ?

Ma naturalmente il liberista non si dà per vinto. Qui non parlo più di Giannino ma di un liberista più evoluto ( diciamo il libberista). Che cosa ti dice il libberista (ossia il liberista più evoluto)?

“Bravo pollo!” dice lui “ ma non tieni conto che i contributi di lavoro sono esenti da imposizione!”

“E bravo pollastro” dico io “e tu non tieni conto che il nostro, come quasi tutti i sistemi previdenziali europei, è un SISTEMA A RIPARTIZIONE, ossia PAYGO, il che significa che lo stato paga le pensioni nell’anno N con i contributi che incassa nell’anno N. Punto.

Se tu, caro il mio libberista, volessi fare un confronto reale tra CONTRIBUTI E PENSIONI (ed evitare di sommare banane con pomodori per ottenere melanzane) NON DOVRESTI CONFRONTARE I CONTRIBUTI INCASSATI NELL’ANNO N CON LE PENSIONI PAGATE NELL’ANNO N, ma dovresti sommare tutti i contributi versati da ciascun pensionato precedenti all’anno N (per un numero variabile di anni, 15, 20, 30 ec. ), rivalutarli all’anno N, capitalizzare gli interessi maturati fino all’anno N e tirarci fuori una RENDITA dell’anno N. Cioè dovresti parlare in termini di rendita del montante contributivo rivalutato ( NON con il sistemino truffaldino tipicamente italiano che rivaluta il montante sulla base del PIL nominale degli ultimi 5 anni: al punto che negli ultimi anni i montanti ci hanno rimesso, rispetto all’inflazione, 4/5 punti). Quei contributi versati, allora, diventerebbero realmente RISPARMIO FORZATO di una parte del reddito di lavoro e via via accumulato in un conto fittizio del lavoratore: ma questo, caro mio, si chiama SISTEMA A CAPITALIZZAZIONE e sfortunamente quasi nessuno lo adotta per il finanziamento delle pensioni.

Perciò l’UNICA POSSIBILITA’ di fare un CONFRONTO tra pensioni e contributi ( se proprio vuoi farlo) è mettersi ( nell’anno N) nei panni dello stato e vedere se pagando le pensioni e incassando i contributi, ci rimetti (disavanzo) o ci guadagni (avanzo). E, come abbiamo visto, lo stato ci guadagna (anche parecchio).


E poi, caro il mio libbberista ti sfugge una considerazione di natura sostanziale: il contributo previdenziale non è una parte del reddito di lavoro che va a risparmio esente da imposizione. Il contributo DI FATTO E’ UNA VERA E PROPRIA IMPOSTA (vedi ad es. Persiani).
Ora gli italiani, che sono dei veri e propri maestri nel settore furbizia, si sono inventati un meccanismo impositivo come questo (numeri a caso) :
reddito di lavoro lordo (comprensivo dei contributi di datore e lavoratore) = 1400
meno contributi datore - 300
meno contributi lavoratore - 100
-----------------------------
= Reddito fiscalmente imponibile su cui si applica imposta 1000

I tedeschi, che sono molto più razionali ma anche molto meno furbi degli italiani, hanno solo due grandezze su cui calcolano contributi e imposta, che sono Steuer e RV/AV Brutto. Queste due grandezze sono uguali ossia la imposta si calcola sul reddito di lavoro lordo come la contribuzione (con aliquote differenti, naturalmente).
E qui, en passant, esce fuori l’altro liberista evoluto, quello con tre b, ossia il libbberista, che strilla indignato: “Hai visto come sono falsi quelli della Confesercenti? Ci dicono che in Germania le pensioni non sono tassate mentre in Italia lo sono ( e più del lavoro dipendente) ma non ci dicono che in Germania i contributi sono tassati!”. Ecco un altro esempio di confronto tra capre e cavoli per tirarne fuori cetrioli (è un difetto congenito del liberista, con qualunque numero di b).

A parte che questa è già di per sé una stupidaggine considerato che il contributo è già una imposta, semmai dovremmo parlare di diverse base imponibili: in Italia la base imponibile per l’imposta (non per il contributo) è il reddito lordo al netto dei contributi (azienda e lavoratore), in Germania si prende il lordo.
Ma secondo te, caro il mio libbberista,i sistemi di tassazione in Germania e Italia sono confrontabili?
Sai quanto paga l’IVS (aliquota pensionistica) in Italia? Il 33%. E sai quanto paga in Germania? Il 19,9% fino a 66.000 annui, peraltro. E potrei citarti altre 100 differenze.
E allora? Cos’è questa stupidaggine di confrontare di basi imponibili al netto e al lordo di per sé inconfrontabili ? QUELLO CHE CONTA, ALLA FINE DELLA FIERA, PER RENDERE I DATI CONFRONTABILI, E’ PARLARE DI IMPOSIZIONE COMPLESSIVA (IMPOSTA E CONTRIBUTO) , cioè in soldoni di quanto toglie lo Stato al lavoratore. Cioè quello che ci interessa è parlare di CUNEO FISCALE. E il dato OCSE 2012 riferito al cuneo fiscale della Germania era 49,7%, in Italia era 47,6% (il cuneo fiscale specificamente destinato alla tutela previdenziale è peraltro molto superiore in Italia). Quindi ha ragione o no la Confesercenti a dire che, a fronte di un cuneo fiscale sostanzialmente uguale sui redditi di lavoro, è una VERA e propria SCHIFEZZA il fatto che in Italia le pensioni siano tassate ( la ritenuta nel 2012 è stata pari al 21,8%) ed in Germania praticamente NO?? 



(replica)

Emilio L. ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Sub tuum presidium...":

Nel periodo 1989-2010, la copertura dei disavanzi previdenzali di natura non dichiaratamente assistenziale ha assorbito entrate fiscali nell’ordine dei 660 miliardi.

Un gigantesco “inganno collettivo” che ha alimentato i consumi al tempo presente drenando le risorse che sarebbero dovute essere utilizzate per abbattare il debito pubblico e modernizzare il Paese (istruzione, ricerca, investimenti infrastrutturali, …) in modo da “attrezzarlo” a reggere l’urto della globalizzazione … e che oggi opprime lavoratori e imprese con un carico di tasse e contributi sociali che ha pochi eguali al mondo …

Risorse che non sono nemmeno andate ai più bisognosi:

Sulla base delle dichiarazioni dei redditi, il reddito mediano da lavoro dipendente nel 2011 è risultato inferiore ai 20.000 euro (al lordo di imposte e contributi). Nello stesso anno, i pensionati che hanno dichiarato redditi superiori sono stati oltre 4,8 milioni (il 32% del totale).

Nel 2010 il reddito mediano delle famiglie con capofamiglia lavoratore dipendente è risultato pari a 30.089 euro (al netto di imposte e contributi). Le famiglie di pensionati con un reddito superiore a 32.000 euro sono risultate il 27,4%. Percentuale che risulterebbe ben superiore se si normalizzasse il reddito familiare rispetto al numero di componenti tra i quali quel reddito deve essere suddiviso (2,96 per le famiglie di dipendenti e 1,88 per quelle di pensionati).

Quanto al patrimonio, la stessa indagine della Banca d’Italia evidenzia che il valore mediano della ricchezza netta delle famiglie di lavoratori dipendenti era pari a 138.630 euro (immobili più attività finanziarie, al netto dei debiti contratti). Le famiglie di pensionati con una ricchezza superiore a 164.000 Euro risultavano il 52,8% del totale. In particolare il 77,1% delle famiglie di pensionati vive in una casa di proprietà, contro il 62,5% dei lavoratori dipendenti.

Questa è la verità, per chi abbia voglia di vederla: milioni di pensionati hanno goduto e godono di redditi e patrimoni superiori a quelli dei lavoratori che, faticosamente, stanno pagando la loro pensione. In aggiunta, la vita dei lavoratori è molto più complicata di quella dei pensionati: ci sono la precarietà del lavoro e la disoccupazione, i figli da far crescere, per molti l’affitto o le rate del mutuo da pagare per continuare ad avere un tetto sulla testa …

… senza parlare del fatto un sistema di protezione sociale così costoso non riesce comunque a garantire pensioni sociali dignitose e forme di sostegno al reddito dei disoccupati.


La differenza tra le pensioni erogate ed i contributi effettivamente versati viene pagata dallo Stato, attingendo alle entrate fiscali.
Da un punto di vista contabile, questi trasferimenti statali sono classificati in due voci:

1.La prima voce è la copertura del deficit delle gestioni previdenziali tenute presso l’INPS e gli altri Enti previdenziali.
Il deficit si è andato riducendo a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, per effetto sia della crescita delle aliquote contributive, sia delle riforme che hanno rallentato la dinamica della spesa (posticipo dell’accesso, revisione delle modalità di calcolo e di rivalutazione). Si è quasi azzerato nel 2008, per poi tornare a crescere a causa della crisi e della conseguente riduzione delle entrate contributive. Nel 2010 il deficit è stato di 13 miliardi.

2.La seconda voce è costituita dai trasferimenti GIAS (Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali), che vengono computati dagli Enti previdenziali come “contributi”, al pari di quelli versati da lavoratori e imprese (la scarsa trasparenza nella contabilizzazione dei fondi GIAS è stata ripetutamente evidenziata dalla Corte dei Conti).
All’interno di questo aggregato, la quota utilizzata per gli interventi di natura dichiaratamente assistenziale (le integrazioni delle pensioni al trattamento minimo, le maggiorazioni sociali, i prepensionamenti, …) è in realtà minoritaria.
Il grosso dei trasferimenti GIAS non è altro che un “puntello” istituzionalizzato posto a sostegno di una spesa previdenziale strutturalmente in deficit. Vi rientrano ad esempio:
- il finanziamento di quota parte di tutte le gestioni pensionistiche, pari nel 2010 a 22,5 miliardi (vedi Legge finanziaria 2010) e che viene incrementato anno dopo anno in base al tasso di inflazione al consumo maggiorato di un punto percentuale;
- i trasferimenti al fondo speciale dei ferrovieri, pari nel 2010 a 4 miliardi.
Solo questi due capitoli rappresentano il 78% dei trasferimenti GIAS del 2010 (33,7 miliardi).

Da quanto illustrato, nel 2010 la spesa pensionistica non coperta dai contributi e posta a carico della fiscalità generale è stata di almeno 40 miliardi (13 di deficit “conclamato” e oltre 26,5 miliardi di trasferimenti statali GIAS di natura non assistenziale).”

Inserire le trattenute fiscali sulle pensioni come fonte di finanziamento all’interno del bilancio previdenziale (pensioni erogate – contributi previdenziali versati) è un ragionamento totalmente fallace.

Innanzitutto non si capisce perchè i pensionati non debbano essere chiamati a contribuire, con le loro trattenute fiscali, al costo dei servizi pubblici di cui essi stessi fruiscono (si pensi alla sanità), al pari di tutti gli altri cittadini percettori di reddito.

Ma poi, il fatto di conteggiare tale gettito fiscale come fonte di finanziamento della previdenza, anzichè di tutti gli altri servizi pubblici erogati dallo Stato, non fa che spostare il problema della sostenibilità finanziaria da un comparto all’altro della spesa: è come tirare una coperta … ahimè troppo corta.

Per approfondimenti
http://marionetteallariscossa.blogspot.it/2013/04/lavoratori-schiacciati-dalle-pensioni.html

Un cordiale saluto
Emilio L.



Sintesi
Emilio impagina meglio di anto ed è meno diversamente ortografico, a parte il perchè che sarebbe un perché. Entrambi hanno un vizio che non hanno imparato da me: non mettono nemmeno un link alle loro fonti, il che dà alla loro discussione una piacevole vernice ideologica che preferirei venisse scrostata con l'acido dei dati e delle tabelle (questo ve lo dico per il futuro).

Prima che voi scateniate l'inferno, entrando negli infiniti dettagli, vi segnalo un paio di dati di fondo.

Il primo è che se non c'è crescita non sono sostenibili né i sistemi a ripartizione né quelli a capitalizzazione, come ricorda pacatamente e efficacemente Gennaro Zezza. I sistemi a ripartizione si basano sul fatto che in futuro i lavoratori creeranno più valore, quindi saranno in grado di provvedere a se stessi e ai pensionati (in un modo che non sia l'eutanasia o la deportazione come in Germania). Quelli a capitalizzazione si basano sul fatto che se dai oggi i tuoi soldi a una azienda, quella creerà valore in futuro e quindi il tuo investimento di permetterà di campare dignitosamente. I due sistemi hanno in comune il fatto che l'economia deve creare valore, fra oggi e domani, che non significa, come pensano gli idioti della decrescita, inondare il mondo di emissioni inquinanti e di oggetti di plastica: può anche significare ridurre le emissioni inquinanti, fornire migliori servizi pubblici o privati, ecc. ecc. L'unica cosa che distingue i due sistemi è chi agisce da intermediario. Nel sistema a ripartizione è lo Stato, in quello a capitalizzazione il Mercato.

Noi siamo nei guai perché il Mercato ha fallito, e ce lo dice la Bce. Tirate voi le conclusioni.

Il secondo dettaglio, ancora più banale, è che il discorso sulle pensioni, come ho spiegato qui, è parte di un attacco al "perimetro dello Stato" che è puramente ideologico, e sostanzialmente indirizzato a comprimere il ruolo dello Stato nel circuito del risparmio. In questo senso è del tutto analogo al discorso sul debito pubblico, del quale si continua a parlare nonostante la Bce abbia detto apertis verbis che con la crisi non c'entra (come vi ho appena ricordato), e nonostante la Commissione Europea abbia certificato che in Italia esso è il più sostenibile fra i paesi europei anche tenuto conto delle passività implicite nel sistema pensionistico (scoperta dell'acqua calda, perché la Germania ha un enorme problema demografico che sta risolvendo grazie alla crisi, gestita in modo da costringere i migliori giovani del Sud a emigrare al Nord). Ma il fatto è che un sistema finanziario privato che crea valore solo tramite bolle ha bisogno del risparmio intermediato dallo Stato per gonfiarle, queste bolle.

Se darglielo o meno è una scelta politica. Dall'inizio degli anni '80 è stata fatta la scelta di dargliene progressivamente sempre di più. I risultati, chi voleva vederli, li ha visti. Per gli altri la colpa è di cose che ci sono solo oggi: la Cina, la vecchiaia, i cattivi raccolti...

E ora, carissimi, scatenate l'inferno addentrandovi nelle folte foglie dei conti della serva, ma se possibile citando esattamente le fonti, e non perdendo di vista i due rami dell'albero della globalizzazione finanziaria, che mi sono pregiato, nella mia sintesi, di sottoporre alla vostra riverita disattenzione...




(l'articolo di Froud et al. dovreste leggerlo. Dimostra dati alla mano che negli ultimi tre decenni le imprese statunitensi si sono autofinanziate, cioè hanno fatto abbastanza profitti da provvedere da sé agli investimenti produttivi. E i soldi dei risparmiatori dove sono finiti? Semplice: nel gonfiare i valori di libro delle aziende, attraverso il gioco delle fusioni e acquisizioni. Cerco di farvene una sintesi prossimamente. Naturalmente i brillanti storici del medioevo vi diranno che il capitalismo ha sempre funzionato così, che la speculazione c'è sempre stata, che anche i Bardi (con la maiuscola) hanno fatto default, e che le crisi sono il respiro dell'economia, come la guerra è il respiro del mondo. Ma Keynes, o anche il paper di Froud, o anche i dati, combattono questo relativismo storico, e vi dicono che il capitalismo, che naturalmente è brutto e cattivo - rassicuro subito gli eventuali marziani - può essere gestito in modi diversi, che corrispondono a periodi storici diversi e a diversi rapporti di forze. Come del resto il comunismo, che invece è bello e buono. In entrambi i sistemi la gente muore, e muore ingiustamente. Per le persone per bene, per gli squallidi politicanti, e per gli storici dilettanti, ci sarà sempre lavoro!)


sabato 28 giugno 2014

Sub tuum presidium...

E così, mentre voi stasera guarderete qualche partita del mondiale, io lavorerò, protetto dalla sacra effigie di S. Defendente:



sotto una delle cupole più belle dove mi sia capitato di lavorare...




(il neoborbonico è tutto contento perché negli affreschi c'è un basso di violino, lo vedete...)

...e naturalmente è andato tutto benissimo, grazie all'ottima organizzazione dei Solisti Ambrosiani, all'ottima acustica e all'ottimo pubblico. Ogni tanto qualche infiltrato mi chiamava professore... Ragazzi, un minimo di buone maniere: quando sono in camicia nera chiamatemi maestro!


venerdì 27 giugno 2014

L'uomo propone, il CINECA dispone

Dublino

Forse vi ho raccontato di quella volta che andai a una conferenza all'University College di Dublino, keynote speaker Bob Mundell. Era il 2007, agosto, la conferenza era sulla Cina, e gli irlandesi erano tutti contenti. Mundell parlò di moneta unica mondiale, dal che capii che è sempre un errore mettersi con una donna troppo giovane quando si è passata una certa età, ma questo non c'entra. Io abitavo abbastanza vicino all'University College. Andando dall'aeroporto verso il b&b dovevo passare accanto al Trinity (se non sapete perché, è spiegato qui). E cento metri dopo il Trinity vedo un enorme cartello giallo che mi segnala dei lavori in corso, con possibilità di code, suggerendo percorsi alternativi. Ma io, non vedendo nessun problema (abituato a Roma), decisi di proseguire. Me ne ero già dimenticato quando, un chilometro dopo, altro cartello! Io credevo di averli superati, i lavori, perché a Roma normalmente il cartello "lavori in corso" lo mettono in fondo alla voragine, così quando ci sei caduto sai perché! Invece no, i lavori erano "ahead", ma quanto "ahead" purtroppo non potevo saperlo, essendo poco ferrato in toponomastica celtica. Però non si vedeva niente, e allora continuai a tirare dritto.Due chilometri dopo, altro cartello di avviso. E sempre gnente...

Insomma: ve la faccio breve: cinque chilometri e cinque cartelli dopo arrivo di fronte al mio b&b (guidando rigorosamente a sinistra, va da sé), dove, lievemente infastidito da una piccola strettoia causata dagli operai del gas che avevano aperto un tombino, trovo con italica disinvoltura parcheggio e scarico i bagagli.

Ma...

Improvvisamente mi trafigge la consapevolezza che i lavori per i quali la municipalità di Dublino si era sentita in dovere di avvisarmi con largo anticipo erano quel trascurabile intervento di routine, che provocava una coda di 20 metri.

Bologna
Da più di un giorno il mio spazio web sul server di ateneo è inaccessibile, e con esso tutto il mio materiale didattico per gli studenti, inclusi alcuni grafici che uso in classe ma anche su questo blog. Siccome non sono complottista (non credo che né la Merkel né la Sinagoga di Satana abbiano particolare interesse ad hackerarmi), ho pensato a problemi come quelli che abbiamo avuto altre volte, e che mi si riportò essere dovuti ad incursioni esterne sul server unich non particolarmente indirizzate alla mia umile persona. Dopo di che, sono andato a controllare le pagine personali dei miei colleghi, constatando che anch'esse erano inccessibili dall'esterno. Quindi, Bilderberg e rettiliani potevamo tranquillamente escluderli.

Oggi, incuriosito dal protrarsi della situazione, e considerando che siamo sotto esami, e che quindi gli studenti potrebbero aver bisogno di informazioni che sono sul mio sito, scrivo al supporto tecnico.

Risposta: "Devono essere riattivati i proxy pass ma può vedere il suo sito all'indirizzo http://www.ch.unich.it/docenti/bagnai/".

Controrisposta: "in un sito web il problema non tanto è l'accesso del titolare, quanto di chi ci si deve recare per avere informazioni (in periodo di esami piuttosto numerose). Io quello che ho scritto nel mio sito lo so e non mi interessa molto, ma non ho modo di avvisare del cambio di indirizzo le persone interessate, perché non so chi sono. Mi occorrerebbe quindi sapere se i proxy-pass dei quali lei parla verranno riattivati in tempi brevi."

Replica: "L'attività di sistema viene gestita dal CINECA".

A questo punto, evidentemente, mi taccio, dal momento che se così stanno le cose il nostro supporto non c'entra.

Ora, io come sia esattamente andata questa cosa non lo so: non so se qualcuno ha pensato ad avvertirci che i nostri siti sarebbero scomparsi, non so per quanti giorni ancora saranno giù, non so se e quando potrebbe succedere di nuovo. Son sicuro che tutti si saranno comportati secondo gli standard professionali locali, e che certamente sono stato avvertito, e mi son perso io l'email, va bene così? Certo, so anche che qualche studente si starà lamentando del barone Bagnai che non mette le informazioni sul web (ho cominciato a farlo nel 1996, il mio dipartimento forse non aveva nemmeno un server), e che ho già fatto un paio di figure di merda con colleghi esteri ai quali avevo dato dei link sul mio spazio web per scaricare dei miei materiali di ricerca.

Sintesi
Guardate che quando io dico che l'euro è un problema, quello principale, non sto dicendo che sia l'unico. Io, nella pubblica amministrazione, ci vivo, e quindi so come funziona, e credo nell'iniziativa privata, tant'è vero che mettendo a sistema queste due informazioni ho deciso di costituire un'associazione per finanziare ricerche come questa. Credo anche in una moderata concorrenza, e diffido dai monopoli, tranne nel caso in cui le economie di scala ne giustifichino l'esistenza, e ci sia un minimo di controllo politico. Non sono assolutamente sicuro che cose come queste non accadano all'estero. Certo, a Roma non ti avvertono che una strada è bloccata finché non sei incolonnato nella tonnara senza possibilità di scampo, quando sarebbe bastato mettere un cartello 100 metri prima per evitare lutti infiniti. Un comportamento che ricorda abbastanza quello che è successo al mio sito, no? (anche se magari io sarò stato avvertito).

Questo ovviamente non significa che dove ti avvertono cinque chilometri prima del fatto che ci sono lavori in corso, l'eventuale monopolista dei servizi informatici universitari sia così gentile (se c'è) da avvertire chi di dovere che questi servizi saranno sospesi (del resto, ripeto, magari hanno avvertito e non me ne sono accorto...). Però, come dire: difficile che chi non fa le cose semplici (mettere un cartello) faccia quelle più complesse (scrivere un'email). Ed è anche difficile che in posizione di monopolio possa maturare quella cultura del servizio, dell'assistenza al cliente, che, inutile negarlo, una sua connotazione culturale e quindi geografica ce l'ha. Più facile che maturi quella sbrigativa attitudine che fa rima con palazzo, come nel sonetto di Belli.

Insomma: la rimozione dell'euro è una condizione necessaria, ma ci interessa poco perché di essa se ne occuperà la SStoria. Non è però sufficiente. Poi bisogna anche mettere i cartelli (o inviare le email), e quello, invece dovremo farlo noi.

L'Italia può farcela, e sapere come non è poi così difficile: basta guardarsi intorno.

E ora aspettiamo fiduciosi...


Aggiornamento delle 15:15: l'Ufficio Stampa del CINECA mi ha contattato per chiedermi di spiegare il problema, cosa che ho fatto. Li ringrazio per questa attenzione che decisamente li mette su un piano diverso (molto migliore) rispetto ai sovrani del mondo antico di belliana memoria. Nel frattempo, il supporto di UNICH mi dice che il problema è risolto (ma io non navigo nel sito) e che non dipende da loro che in effetti si occupano solo di gestire i contenuti e non le macchine (e io ne sono lieto: sapete bene quanto tenga a difendere la mia appartenenza alla D'Annunzio...). Ma voi nel mio sito riuscite a navigare? (navigare, non vedere la home page...)

Aggiornamento delle 15:37: la navigazione è tornata attiva grazie all'intervento del CINECA, ma continuano ad essere inaccessibili i materiali che ho depositato nel mio spazio web, come ad esempio i grafici di questo post (ricordate? Era già successo!) I rettiliani però non c'entrano.

Aggiornamento delle 18:18: mo pare che cce semo, io nel frattempo mi ero dedicato ad altro, sapete, domani sono a Varese per un concerto e dovevamo decidere come regolarci data l'infausta meteo dell'Insubria. Sono stati molto disponibili il dr. Calci di Unich e la dott.ssa Coluccia di CINECA, e a loro va il mio sentito ringraziamento, anche perché i miei amici americani avevano scommesso che non avrei risolto il problema prima di lunedì, e hanno perso.

L'Italia può farcela.

Ah, a proposito, per l'Insubria, memori dell'esperienza negli antri abduani, abbiamo optato per maglietta di lana, colbacco di astrakan e diapason a 413, anche perché se il flauto cresce lo puoi calare, ma se cala non lo puoi crescere (chi è del mestiere mi ha capito, gli altri sono vergini: mo non cominciamo il flame flautistico, please...).

giovedì 26 giugno 2014

Una provocazione intelligente

Ricevo da Dino Cofrancesco una provocazione intelligente:

Il Professor Alberto Bagnai, nel denso saggio Il tramonto dell'euro. Come e perché la fine della moneta unica salverebbe democrazia e benessere in Europa (Ed. Imprimatur) fa molta, giustificata, ironia sulle teorie del complotto, che vorrebbero spiegare realtà complesse facendo riferimento a strategie occulte. Leggendo il suo libro, però, si viene a sapere che l’attuale crisi economica risalirebbe alla massiccia offensiva contro i diritti dei lavoratori, iniziata da Ronald Reagan e da Margaret Thatcher. L’Unione Europea e la zona euro, a suo avviso, sarebbero la malefatte di un liberismo fermamente determinato ad allargare la forbice tra capitalisti e proletari. Non ho la competenza di Bagnai, che, nel suo saggio, cita migliaia di economisti, ma non posso non fargli una domanda: come mai i guru del liberismo—da Piero Ostellino a Vaclav Klaus, Il pianeta blu, Ed. IBL—sono così critici nei confronti degli eurocrati accusati di riprodurre vecchi modelli dirigistici di stile sovietico?

A differenza dei colleghi "de sinistra", Cofrancesco non fa finta di non capire cosa ho scritto nel mio libro (tralascio l'ultima generazione di #cialtrini, quelli che "tu hai detto che è solo colpa del divorzio": sufficit diei malitia sua...). Di questo gli sono grato, anche se è l'ovvia conseguenza del fatto che non essendo lui "de sinistra" non si è sentito spiazzato dal mio lavoro. Lo fosse stato, probabilmente sarebbe stato intellettualmente disonesto anche lui come tanti altri, per mero istinto di conservazione, per mera difesa della propria market share. Questo solo per mettere le cose nella giusta prospettiva.

Tornando alla sua domanda, però, a me pare intrinsecamente mal posta, direi intrinsecamente contraddittoria.

E a voi?


(with all due respect, non metterei Ostellino sullo stesso piano di Klaus, ma forse sbaglio, perché Ostellino non so chi sia).

























(...appunto...)

mercoledì 25 giugno 2014

Oggi Heisbourg a Roma

La fine del Fogno europeo.

Io ci sarò, dopo un filagino con il mio violoncellista neoborbonico preferito...

Svalutiamo! (ma l'euro, mi raccomando, non la lira)

Come sapete, e come ho già avuto modo di stigmatizzare altrove, va ora molto di moda sostenere che se l'Italia si ritirasse dall'euro sarebbe un disastro perché la nuova lira svaluterebbe (distruggendo i nostri risparmi), ma d'altra parte bisogna che l'euro si svaluti, perché un euro troppo forte distruggerebbe la nostra economia.

Ci siamo più volte divertiti alle spalle degli imbecilli che non capiscono la differenza fra valore esterno della moneta (il cambio) e valore interno (il potere di acquisto). Natura matrigna ha i suoi torti, i media hanno i loro, noi siamo democratici, la genetica no, ma non voglio tornare a parlarvi di questa cosa: non voglio cioè per l'ennesima volta ripetervi gli ovvi motivi per i quali uno sganciamento, una svalutazione della lira, non sarebbe un disastro (a meno che voi non facciate la spesa a Duisburg tutte le mattine). Basta. Chi ha capito ha capito, chi non ha capito è inutile.

Mi preme invece farvi notare una cosa altrettanto ovvia, ovvero che una svalutazione dell'euro non sarebbe una panacea, e questo, ovviamente, non perché distruggerebbe i nostri risparmi. Lasciamo ai cialtroni del "la svalutazione della lira distruggerebbe i nostri risparmi" l'onere di spiegare perché mai una pari svalutazione dell'euro non lo farebbe. I motivi, altrettanto ovvi, per i quali una svalutazione dell'euro non sarebbe una panacea sono altri, ma vedo che fra voi serpeggia un equivoco, che forse vale la pena di dissipare prima di affrontare il tema.

Vedete, questo blog, va detto (con assoluta e programmatica immodestia) è un pochino come la proverbiale O di Giotto. Voi venite qui, vi sembra tutto semplice e coerente, e questo vi spinge a fare due errori.

Il primo è leggere una A, la A di Alberto, dove invece c'è una O. Niente (o quasi) di quello che trovate qui è una mia "teoria", una A di Alberto. Semplicemente, si tratta di una buona spiegazione/esecuzione di teorie (o lettere dell'alfabeto) altrui.

Il secondo è pensare di aver capito tutto, e che non ci sia più altro da capire. Certo, una O la sappiamo fare e soprattutto leggere tutti, e tutti sappiamo come deve essere: tonda. Va da sé. Così come sappiamo come deve essere una spiegazione: chiara, e non paternalistica. E anche le sonate di Mozart sembrano tanto semplici. Ma avete mai provato a scriverne una? Dietro ogni singola parola di questo blog ci sono alcuni decenni di studio, di ricerca, di sperimentazione anche espressiva, di successi e frustrazioni didattiche e scientifiche, tutti ugualmente metabolizzati, alla ricerca del buono e poi dell'ottimo...

Mi fanno quindi un po' sorridere di tenerezza (tenerezza, specifico, che non è né la compassione che meritano alcuni, né il disprezzo che meritano altri) quelli che, come ieri valsandra, se non ricordo male, dicono cose del tipo: "Be', tanto si è capito che qui ormai quello che di economia si poteva imparare si è imparato, quindi...". Perché vedete, ve lo spiego: quello non è un cubetto di ghiaccio, è un iceberg. Cosa significa? Significa che quello che vedete, o credete di poter vedere e capire voi, di quanto avete trovato qui, è una porzione esigua ed insignificante del percorso che dovreste fare se voleste veramente capire qualcosa, in profondità, nelle sue articolazioni tecniche, come tutti avete la capacità intellettuale e alcuni avrebbero anche l'interesse di fare. La sindrome di Dunning-Kruger, sapete? Il fatto che io abbia fatto sorgere in voi una simile illusione (l'illusione di aver ormai capito tutto) torna a vostro e mio merito: voi avevate una curiosità, e questo è il primo dei meriti, e io ho provato a soddisfarla facendovi un discorso coerente e adeguato al vostro livello di preparazione, senza trattarvi però da fessi. Lo avete apprezzato, siamo diventati amici.

Ma tre anni dopo, quanti di voi ancora sanno cos'è una elasticità, nonostante io ve lo abbia spiegato più e più volte?

Hai voglia di be' ova...

Da imparare ne avete ancora molto, quindi, vi prego, prendete esempio da me: siate immodesti, ma umili, e continuate a farvi il mazzo come faccio io, perché se quando incontrate un piddino lui rimane della sua idea la colpa è sì, certo, di madre Natura, ma non escludete l'ipotesi che sia anche vostra, e che la resilienza del piddino dipenda dal fatto che voi non abbiate ancora capito che quello non è un cubetto di ghiaccio: è un iceberg, la cui sommersa immensità vi è finora rimasta nascosta. Quando capirete quanto sono complesse le cose, apprezzerete meglio lo sforzo fatto per rendervele accessibili (e, magari, qualcuno si collocherà meglio nel sistema di Linneo).

Tornando al punto, dato che l'ordine di grandezza del fenomeno temuto o auspicato è più o meno lo stesso (intorno al 20%), può essere utile andare a vedere cosa accadrebbe all'economia italiana nel caso di riallineamento dell'euro e nel caso di riallineamento della nuova lira. Il modello econometrico che stiamo sviluppando in a/simmetrie consente di farlo perché rappresenta il commercio estero dell'Italia non in termini aggregati (esportazioni e importazioni complessive), ma in termini bilaterali considerando sette diversi partner commerciali: (1) il centro dell'Eurozona; (2) la periferia dell'Eurozona; (3) gli altri paesi europei; (4) gli Stati Uniti; (5) i paesi OPEC; (6) i BRIC; (7) il resto del mondo. Per ognuna di queste destinazioni/provenienze sono state stimate equazioni che rappresentano le esportazioni/importazioni, ottenendo una rappresentazione accurata della reattività del nostro commercio ai prezzi relativi bilaterali (tassi di cambio reali bilaterali), e al reddito italiano e delle aree partner.

In altre parole, mentre nei modelli econometrici più usuali la struttura è quella a due paesi (il paese rappresentato, e un "resto del mondo" indistinto, dal quale provengono tutte le importazioni e al quale vanno tutte le esportazioni, con pari reattività al prezzo quale che sia l'origine o la destinazione finale), nel nostro modello la struttura del blocco commerciale è a otto paesi, il nostro, più le altre sette regioni elencate sopra (delle quali una sola, gli Stati Uniti, coincide con una nazione, mentre gli altri sono aggregati di nazioni più o meno omogenee ma comunque dotati di un minimo di significato in termini economici o geopolitici).

Ah, naturalmente questa cosa non si è fatta in un giorno, e non si è fatta da sola. Siamo grati agli amici che ci hanno fatto critiche costruttive su Twitter. Se magari ci avessero anche dato una mano... Ad esempio, certamente il dottor Bessi avrebbe aiutato Christian a trovare un modo più elegante per scrivere la procedura EViews che implementa lo stimatore di Hatemi-j (2008): fornisco le prime righe del listato, aspettando un suo contributo costruttivo:


if @left(%0, 3) = "log" or @left(%0, 3) = "LOG" then
    %0=@mid(%0,5,@length(%0)-5)
    %open0="log("
    %close0=")"
endif

if @left(%1, 3) = "log" then
    %1=@mid(%1,5,@length(%1)-5)
    %open1="log("
    %close1=")"
endif

if @left(%2, 3) = "log" then
    %2a=@mid(%2,5,@length(%2)-5)
    %2=%2a
    %open2="log("
    %close2=")"
endif

if @left(%3, 3) = "log" then
    %3=@mid(%3,5,@length(%3)-5)
    %open3="log("
    %close3=")"
endif

if @left(%4, 3) = "log" then
    %4=@mid(%4,5,@length(%4)-5)
    %open4="log("
    %close4=")"
endif

'***************  FINE CONTROLLI PRELIMINARI ************************

if !new_page = 1 then
    group z_variables_!tmp {%0} {%1} {%2} {%3} {%4}
    alpha z_series_!tmp

    for !i = 1 to z_variables_!tmp.@count
        %my_series = %my_series + " " + z_variables_!tmp.@seriesname(!i)
    next

    z_series_!tmp = @replace(%my_series, "+", " ")
    %my_series = z_series_!tmp(1)
    z_series_!tmp = @replace(%my_series, "-", " ")
    %my_series = z_series_!tmp(1)
    z_series_!tmp = @replace(%my_series, "*", " ")
    %my_series = z_series_!tmp(1)
    z_series_!tmp = @replace(%my_series, "/", " ")
    %my_series = z_series_!tmp(1)
    z_series_!tmp = @replace(%my_series, ")", " ")
    %my_series = z_series_!tmp(1)
    z_series_!tmp = @replace(%my_series, "(", " ")
    %my_series = z_series_!tmp(1)

    delete z_*_9999
    pagecopy(page="HatemiJ") {%my_series}
endif



Come? Niente suggerimenti? Che delusione! E io che pensavo che, essendo così delusi dalla scarsezza di risultati raggiunti da a/simmetrie (a proposito, di questa scarsezza parleremo l'8 luglio, perché i risultati invece sono talmente tanti che non ho tempo nemmeno di riportarveli...), pensavo, dicevo, che voi aveste già fatto di meglio. No!? E allora de che stamo a parla'? Ho mai preteso, io, di saper innestare un ciliegio? Me ne guardo bene, e rispetto chi lo fa. A mia volta, il rispetto lo pretendo, ma solo da chi è suscettibile di offendermi. Chi di voi ha mai preteso il rispetto di un ghiozzo? Già su una tracina si potrebbe discutere, perché in effetti quello che lei pensa di noi rischia di avere una qualche rilevanza...

Ma lasciamo questa tempesta in un bicchiere di pignoletto per tornare al punto.

Il fatto di avere una struttura del commercio a otto paesi (che non si è costruita né da sola né in un giorno) permette, evidentemente, di considerare effetti di prezzo e di reddito differenziati per ognuno dei sette paesi partner. Quindi si possono studiare ipotesi del tipo: cosa succede all'Italia se la Cina riparte ma gli Usa stanno fermi (o viceversa)? Cosa succede all'Italia se gli Stati Uniti svalutano? E, naturalmente: cosa succede all'Italia se l'euro svaluta (e quindi l'Italia svaluta rispetto a tutti i partner, tranne quelli dell'Eurozona), o se invece a svalutarsi è la "nuova lira" (e quindi l'Italia svaluta rispetto a tutti i partner, compresi quelli - o alcuni di quelli - dell'Eurozona).

Questa è la domanda che ci siamo posti nello studio che ho pubblicato oggi, cioè ieri, in forma preliminare sul sito di a/simmetrie.

Prima di darvi la risposta, che è ovvia e che approfondirete nel documento tecnico, se lo desiderate, vi fornisco intanto qualche essenziale caveat utile per interpretare i risultati. Questi risultati sono preliminari (a noi servono soprattutto come diagnostica del modello) per una serie di motivi, alcuni ovvi e altri meno ovvi:

1) perché sono ottenuti simulando il solo blocco del commercio estero (comprese le equazioni dei deflatori), insieme alle identità del reddito nazionale, ma senza gli altri blocchi del modello, per cui considerano l'impatto sul reddito nazionale di un aumento delle esportazioni nette, ma non considerano la spinta inflazionistica derivante nel medio periodo dal conseguente aumento dell'occupazione;

2) perché lo scenario di svalutazione della "lira" prevede che il riallineamento avvenga in pari misura rispetto a tutti i partner, mentre è verosimile che la svalutazione sarà maggiore verso il nucleo dell'Eurozona che verso gli Stati Uniti, e che verso la periferia dell'Eurozona ci potrebbe essere addirittura una rivalutazione, nel caso molto probabile che l'uscita dall'Italia determini una frattura totale dell'Eurozona.

Queste due precauzioni suggeriscono che i risultati degli scenari considerati, e in particolare di quello di svalutazione della lira, potrebbero essere distorti al rialzo, cosa che verificheremo nelle sedi opportune proseguendo con la ricerca.

Il punto però è un altro. I risultati delle nostre stime, che non sono particolarmente originali se non per la scelta di disaggregare il commercio nel modo che vi ho detto sopra, confermano un paio di regolarità empiriche che studi come quello di Langwasser (2009) o di Hooper et al. (2000), o di DG-ECFIN (2010), avevano già acquisito (riferimenti nel documento tecnico).

Il primo è che i flussi commerciali italiani sono fortemente elastici ai prezzi relativi. Il secondo è che anche le elasticità al reddito sono particolarmente elevate, soprattutto per quanto riguarda le importazioni dai paesi a noi più prossimi. Per vostra comodità, vi riporto la tabella che nel documento tecnico riassume le elasticità di lungo periodo:


Come vedete, le condizioni di Marshall-Lerner sono rispettate verso tutti i partner commerciali, tranne i paesi OPEC, per l'ovvio motivo che le importazioni da essi sono molto poco elastiche ai prezzi (e grazie! Se devi andare al lavoro la benzina la devi comprare, e quel che costa costa...). Quindi è chiaro che rispetto ai paesi OPEC una svalutazione ci danneggerebbe. Ma sapete qual è il peso dell'OPEC sul commercio italiano? Una cosa intorno al 7%. Rispetto a quella quisquilia, a quella pinzillacchera del restante 93% una svalutazione ci avvantaggerebbe, e questo non lo dico solo io: come avete visto leggendo questo blog, lo dice perfino la DG-ECFIN (e il link è sopra).

Venendo al secondo punto, la disaggregazione per aree ci permette di cogliere una regolarità piuttosto ovvia: le elasticità delle importazioni al reddito sono più alte nel caso di partner più vicini a noi. Insomma: se guadagniamo di più, ceteris paribus, spenderemo i nostri soldi nel negozio più vicino (la Germania) piuttosto che in quello più lontano (la Cina).

La conseguenza di questo bel discorZetto qual è? Direi che è piuttosto intuitiva. Un riallineamento dell'euro verso il basso ci avvantaggerebbe verso quattro delle sette aree considerate nel modello: verso l'OPEC no, perché il petrolio ci costerebbe di più, e ovviamente verso l'Eurozona (core e periphery) no, perché non riallineeremmo. Avremmo incrementi di esportazioni verso gli altri paesi europei, gli USA, i BRIC, il resto del mondo. Il punto però è che l'incremento di reddito così ottenuto si scaricherebbe in modo più che proporzionale in importazioni dall'Eurozona, per cui il vantaggio ottenuto verso i paesi terzi verrebbe compensato da uno svantaggio nei riguardi dei nostri partner più prossimi, che da soli fanno più di metà del nostro commercio.

Nel caso di riallineamento della "lira" (cioè di riallineamento erga omnes), certo che l'aumento del reddito interno ci spingerebbe ad acquistare di più in Germania: ma la rivalutazione della valuta tedesca favorirebbe un effetto di sostituzione delle importazioni (diventate più care) con prodotti nazionali, per cui i nostri conti esteri non verrebbero "piombati" dalle importazioni provenienti dal Nord: avremmo anzi un effetto prezzo positivo (promozione export, sostituzione import) proprio verso questi paesi, che da soli fanno circa il 40% del nostro commercio.

L'entità di questi effetti la trovate nel documento tecnico.

Il punto fondamentale è che il riallineamento dell'euro non può fare pressoché nulla per rilanciare l'economia italiana. Gli effetti di reddito verso i partner europei sono talmente rilevanti, nel breve periodo, che un riallineamento dell'euro ha sul saldo commerciale italiano un effetto J che dura quasi quattro anni, nelle nostre simulazioni (certo perfettibili, certo eseguibili più rapidamente, con l'aiuto dei tanti amici che autorevolmente ci criticano, ma fatte di numeri e non di aria fritta come tanti simpatici dibbbbattiti de destra e de sinistra). Guardate che questa cosa non è affatto così strana come sembra. Se ci pensate noi, dall'aggancio con l'ECU nel 1997, abbiamo visto sprofondare inesorabilmente il saldo delle partite correnti, fino a quando Monti non ha fatto una manovra correttiva che ha appunto sfruttato l'effetto reddito: tagliare i redditi italiani per abbattere le importazioni. In questo periodo il cambio dell'ECU-EUR verso il dollaro ha fatto di tutto: è salito, è sceso, a volte per importi consistenti e in tempi rapidi. La traiettoria delle partite correnti italiane non si è fatta né in qua né in là (perché dipende da altro: dal cambio reale bilaterale con la Germania, per lo più).

Quindi, come sempre, quando si simula un modello costruito con i dati, non ci si trova altro se non quello che è nei dati, ovvero la verità fenomenica del fatto che un riallineamento del cambio della moneta unica per l'Italia è un gioco a somma nulla, anzi, nei primi quattro anni negativa, che è poi quello che abbiamo visto accadere nel decennio e passa precedente.

Di più: qualsiasi espansione della domanda interna, ottenuta aumentando le esportazioni verso i terzi (ipotesi "svalutiamo l'euro") o espandendo la spesa pubblica (ipotesi "battiamo i pugni sul tavolo") sarebbe disastrosa per i conti esteri italiani, soprattutto nel breve periodo, rimettendo l'Italia in mezzo a una crisi di bilancia dei pagamenti. Questo, ovviamente, a meno che la Germania non faccia quello che non vuole fare.

Quello che vuole fare lo sappiamo: darci lezzzioncine e accordarci graziose concessioni, del tutto irrilevanti dato che il pareggio di bilancio, prima, ce l'ha fatto mettere in Costituzione. Quello che non vuole fare, anche: una politica distributiva più equa a casa sua, che distribuendo fra i propri lavoratori i guadagni di produttività consentisse loro di spedere di più, trainando con la loro domanda le nostre economie.

Finché l'euro non si riallineerà sarà viceversa Davide a trainare Golia. Fino al momento dell'inevitabile sassata, per la quale aspettiamo fiduciosi il contributo dalla cabina di regia della SStoria.

Tutto chiaro?

No?

Bene: intanto elaborate il lutto (i vari lutti: gli amici che ci hanno lasciato, la nazionale che ha perso...), poi domani ve lo spiego meglio. I cani latrano, la carovana continua ad avanzare...



P.S. del 26 giugno 2014: Il solito tsunami di espertonismo si è scatenato sul frammento di codice preliminare del buon Christian (parola chiave:

Framménto (ant. fragménto) s. m. [dal lat. fragmentum, der. di frangĕre «rompere»]. –

1. Ciascuno dei pezzi in cui s’è rotto un oggetto, o, più genericam., piccola parte staccatasi o tolta da un oggetto: un f. di vetro, di ceramica; un f. d’osso; un f. del frontone del Partenone; esaminare al microscopio un f. di tessuto; frammenti di fissione nucleare, i due, o più, nuclei leggeri che si originano dalla fissione di un nucleo atomico pesante.

2.

a. Parte di opera letteraria pervenutaci mutila: i f. degli storici greci; i f. di Saffo, di Alceo; anche, singolo brano di un’opera concepita frammentariamente e che, per ragioni artistiche o per altro motivo, non abbia avuto una sua esteriore unità: i f. delle «Grazie» del Foscolo.

Vedo che a ironia state messi male, e anche a capacità di NON fornire consigli NON richiesti. Male, malissimo! A me interessava sinceramente il parere del dottor Bessi, e solo il suo. Stranamente non è arrivato, e questa cosa mi ha stupito, perché vedo che dall'alto delle sue competenze è intensamente impegnato in un'opera di referaggio accademico della produzione scientifica di a/simmetrie, opera di peer review che vi esorto a seguire con attenzione, onde capiate quanto difficile è il mio lavoro, e quanto è in effetti mite il mio carattere. Quando ci servirà qualcuno che ci programmi in c++ la sveglia del telefonino ora sappiamo a chi chiedere. Il codice definitivo, nella sua interezza, NON è a disposizione di chiunque, per ora, ma se andate sul sito della Estima trovate qualcosa che può servirvi come punto di partenza (io normalmente programmo in RATS procedure di tipo econometrico, ma a Christian ho chiesto di usare EViews per metter su il modello in un ambiente integrato). Quanto al simpatico Gretl, vi ricordo che è sviluppato appunto dall'amico Riccardo Jack Luchetti, ottimo gezzista. Io suono un altro repertorio, lievemente più europeo. Unicuique suum: io ho Bach perché me lo merito.

E voi?

Svejaaaaaaaaaaaaaaaa!



martedì 24 giugno 2014

A Chinacat

Non è un cialtrone. È un cialtrino. Ma eventualmente glielo dico io.

D'accordo?

Ti voglio bene, ma nun famise riconosce...



(vi esorto tutti a uno studio più attento del noto dizzzionario...)

lunedì 23 giugno 2014

Mi fletto ma non mi impiego (Viterbo, 6 luglio)



(è sempre un piacere essere invitati da persone argute. Di seriosi e tronfi espertoni ce n'è sovrabbondanza. Sarà certamente un dibattito interessante. Buon ascolto. Streaming non ce n'è, chi vorrà muoverà le sue auguste natiche, o attenderà la pubblicazione su Internet del relativo video...)

domenica 22 giugno 2014

La differenza fra un europeo e un europeista salta all'orecchio...

(...non come quella fra un bufalo e una locomotiva, che notoriamente salta all'occhio. Diciamo che comunque un europeista somiglia più a una bufala che a una locomotiva, e per chi volesse documentarsi, il contributo dalla reggìa è qui, al minuto 16, dove ascolterete il corale Herr Jesu Christ dich zu uns wend di Giovanni Sebastiano Bach - con il maestro Romeo Sebastiano Ciuffa al flauto dolce tenore, la Recercada segunda di Diego Ortiz con il maestro Romeo Diego Ciuffa al gravicembalo, il jig anonimo Chalk Sunday con il maestro Romeo Adespoto Ciuffa alla cornamusa, la Sonate pour la flute à bec di Anne Danican-Philidor, con il maestro Romeo Filidoro Ciuffa al flauto basso, e la sonata in re minore di Guglielmo Guglielmi (William Williams), con il maestro Romeo Guglielmo Ciuffa al flauto dolce contralto.

Spero apprezzerete il modo del tutto personale col quale ho elaborato il lutto di non essere riuscito a fare il musicista da grande. Come vi spiegherò, elaborare i lutti è un'attività molto ma molto importante, e c'è tanta gente che avrebbe bisogno di fare un po' di esercizio. Ma di questo parleremo un'altra volta, con quel simpatico cocktail di sangue e risate che ha reso celebre questo blog.

Bloody Albert per tutti, pago io...)

(ora lavoro ai risultati delle simulazioni sull'impatto di un riallineamento del cambio. Certo, l'econometria è inutile, va da sé. "Io non sono un economista ma..."...)

mercoledì 18 giugno 2014

Poi dicono che non sono europeo... (comunicazioni di servizio)

...calunnie!

Pensate che uno dei prossimi concerti, nei quali sarò umile e sensibile accompagnatore, ma anche superbo ed egocentrico solista, si terrà niente meno che nella cattedrale di S. Pierre a Luxeuil-les-Bains (che se poi ci fosse tempo, ma non ci sarà, di fare due note sull'organo sarei felice...). Ci vado a suonare, fra l'altro, un paio di concerti di Scarlatti (questo è uno dei due, anche se mi piace di più come lo faccio io: un po' di swing, ragazzi, ho capito che siete tedeschi...). E sapete chi l'ha messa su quella chiesetta? Ma lui, certo, S. Colombano, il santo europeo! Quello che l'Europa se l'è girata in lungo e in largo, riuscendo perfino a venire dall'Irlanda a Orio al Serio senza RyanAir. Che poi sarebbe anche il S. Colombano di S. Colombano al Lambro, quello dei ditischi...

(miiiiii, la Camerata suona la fuga a un tempo insensato... So' proprio piddini 'sti tedeschi...)

...sì, i ditischi...

(ah, dimenticavo che il quarto tempo è flauto e violino solo, e mi tocca suonare con una fan di Orban: va be': si compensa con S. Colombano...)

...dicevo: i ditischi, "siluretti felici, scampati nei roridi e verdi regni, fra i capegli dell’erbe e dell’alghe: salvi dal loro profilo ellittico o parellittico, che offre, credo, un minimum di resistenza, che segna un optimum della forma natante. E devono aver raggiunto quest’ottimo nella pertinace evoluzione della discendenza, in un loro amore del meglio e poi del perfetto, educendo dalla grossolanità primigenia il garbo del capo, del corsaletto e dell’elitre, sforzandosi di tendere, tendendo all’ellisse, entro paludi, o gore morte nelle golene de’ fiumi: ogni acqua ferma un bacino da esperimenti, ogni specchio livido un mondo da perforare col pensiero: traverso generazioni e millenni raggiungendo il loro laborioso integrale isoperimetrico."

(aspettiamo fiduciosi che marco - con la meritata minuscola - ci spieghi cos'è un integrale isoperimetrico, noi siamo di campagna, ormai usiamo l'equazione di Bellmann...)

Capito? S. Colombano, quello che credeva all'identità europea. Mille e quattrocento anni or sono.

Quindi, se stiamo messi come stiamo messi, si vede che un motivo c'è: non certo la mancanza di sognatori.

Bene, visto che altrimenti poi dite che non ve l'avevo detto, ma se ve lo dico col cazzo che ci venite, allora per risolvervi il problema vi ricordo anche che sarò in duo col mio violoncellista neoborbonico preferito il 28 giugno al Santuario della Madonnina in prato a Varese (alle 9 di sera), e il 12 luglio alla Chiesa di S. Michele Arcangelo a Montegaudio (stesso orario).

Porterò meco il cembalo di Andrea Di Maio, che qui potete vedere pestare alcuni residui organici. Mi dispiace che chi mi ha dato voce si sia dovuto sporcare le scarpe, ma evidentemente è un sentimentale, vorrebbe tanto che chi la pensa "come noi" ci "capisse"... Eh, ma quello dei ditischi lo aveva detto chiaro e tondo: "i nostri cosiddetti simili...". Cosiddetti, Andrea, cosiddetti... Significa che non sono come noi. Loro possono fare questo errore, noi no!

Ma se lo hai voluto fare, chi sono io per giudicarti? Anzi, ti voglio ancora più bene per aver fatto la figura del "bagnaista". E non preoccuparti, non ti sei rovinato il mercato: questi rivoluzionari bolscevichi "de provincia" ascoltano solo musica americana, tu lo sai bene, che i clavicembali devi andare a venderli in Finlandia, finché dura. Ma tranquillo, quando salteranno per aria (i finlandesi: i rivoluzionari no, perché di fatto non esistono), noi riallineeremo il cambio, e non è detto che ci perderai. Del resto, vuoi dirmi che uno che mentre rimetto una corda mi dice: "Devi tenere un angolo di 15 gradi" ha bisogno di una calcolatrice per capire quanto gli costa un caffè in marchi finlandesi?

Ci sarà tempo per chiarire tutto.

In fondo, cosa voglio io? Poco o nulla, sono uno che si accontenta... Dopo quattro anni di insulti mi bastano un paio di teste, sul piatto non mi formalizzo. Liberatevi della zavorra, poveri pirla, e poi si vede.


Poi dicono che non sono europeo...

Er palla (TM)

Lui: "Postala da qualche parte e ti faccio scrivere dall'avvocato!"

Io: "Ce l'hai i soldi?"

Lui: "Paghi tu!"





(col che si dimostra che sa leggere le magliette che porta...)



Disperazione e perbenismo: un commento

Siccome la confutazione del re degli argomenti cialtroni (quello secondo il quale la corruzione avrebbe causato il debito) ha determinato un eccesso di commenti, per ovvi motivi (a nessuno fa piacere ammettere di essersi fatto prendere in giro, e di non aver notato il semplice dettaglio che Monti e Grillo e tutti gli altri sono d'accordo solo su questo punto), la piattaforma blogspot non ce la fa a gestirli, né d'altro canto consente di chiuderli. Non vorrei quindi che vi perdeste questo, che sottopongo alla vostra attenzione:


Alberto R. ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Debito e corruzione nel mondo":

Apprezzo tantissimo questo blog per il livello scientificamente elevato dei suoi post che seguo da tempo. Il prof. Bagnai è riuscito a farmi capire e apprezzare degli argomenti che ho sempre trovato ostici per cui gli riconosco una enorme capacità divulgativa (averne avuti di professori così all'università) oltre che avermi aperto una prospettiva diversa sui problemi della nostra economia.
Peccato che con il passare del tempo non riesco più a vedere grosse differenze di "atmosfera" se mi si passa il termine poco accademico, tra un blog "unovaleunista" e questo blog. Siamo passati da una sana ironia e una giusta dose di sarcasmo al "siamo solo noi", gli altri sono dei cazzari, ignoranti, bugiardi, rincoglioniti se non sposano il pensiero unico o se anche solo sposano preferenze politiche non allineate, riducendo il tutto a una grande generalizzazione che non porta da nessuna parte. Se il Prof. Bagnai ha i titoli per potersi permettere una certo tono anche sprezzante (uno può condividerlo o meno, ma i contenuti restano validi che si dicano in metrica dantesca o in vernacolo e su quei contenuti si dovrebbe misurare il valore delle parole), mi chiedo se tutti quelli che pubblicano commenti altrettanto sprezzanti siano adeguatamente titolati oppure siano anch'essi degli "adepti" che semplicemente sposano una "fede" esattamente come gli "euristi" o gli "unovaleunisti". Alla fine non si nota più la differenza e questo mi dispiace molto perchè la violenza verbale mal si sposa con la divulgazione (dando per scontato che l'intento principe del blog fosse questo e non una sorta di autocelebrazione).

Comunque grazie per il suo sforzo.

Postato da Alberto R. in Goofynomics alle 18 giugno 2014 12:26



La mia valutazione personale è che Alberto abbia ragione, con un piccolo caveat. Mi sembra una persona colta, e in Italia, soprattutto oggi, la cultura è un fatto di censo. Quindi Alberto sarà relativamente al sicuro, e in quanto tale sarà legittimamente meno disperato di tanti altri, e anche meno indignato nel doversi confrontare col muro di gomma di un'informazione totalmente unilaterale.

I toni che vengono usati certe volte qui, o su Twitter, dove sistematicamente blocco le persone che li usano, potrebbero essere controproducenti (ma il blog cresce e il messaggio si diffonde), non li condivido certo, ma li capisco. Capisco che ci possa essere un'espressione di rabbia nell'affermare le proprie ragioni fact based contro un mondo politico e dell'informazione che continua a proporre utopie da quattro soldi al mazzo, slogan populisti, palesi falsificazioni della realtà, con il consenso e la complicità di praticamente tutti i partiti politici (salvo poche note eccezioni) e di tutti i colleghi che, soprattutto a sinistra, nel pollaio italiano continuano a difendere l'euro facendo finta di attaccarlo, in modo da cadere in piedi in ogni scenario possibile.

Capisco la rabbia che questa situazione può suscitare, anche se ripeto, non la condivido.

Mi sembra però che Alberto, come tutte le persone un po' troppo per bene, quelle che fanno dell'essere per bene una ideologia (il perbenismo), cada in una evidente contraddizione. Da un lato infatti riconosce che solo qui gli è stato possibile aprirsi a una diversa visione dei fatti economici (diversa rispetto all'approccio populista, semplicista e demagogico dei giornali, dei politici, e dei blog "de sinistra" e "de destra"). Dall'altro contesta che chi arrivi qui rivendichi l'unicità di questa esperienza e di questo percorso.

Caro Alberto, non è colpa mia se in Italia ho parlato solo io, o comunque solo io con tanta chiarezza, o comunque solo io con tanto sprezzo della ricerca di un facile consenso. Non è colpa mia quindi se qui effettivamente "siamo solo noi". Non è colpa mia se i colleghi che mi laudano in segreto poi mi riprendono o non mi difendono in palese, preferendo sostenere tesi in evidente contrasto con i risultati della ricerca scientifica vecchia e nuova. Non è colpa mia se chi se ne accorge, prima si chiede chi me lo ha fatto fare, e poi si indigna, come forse ti sei, se pure tepidamente, indignato anche tu, nel constatare che io ti facevo un discorso provvisto di coerenza interna, mentre altri visibilmente, smaccatamente, impudentemente ti prendevano in giro per mero conformismo intellettuale o, nella migliore delle ipotesi, per proprio tornaconto. Ricordiamoci dei tanti squallidi personaggi che in giro per il mondo (soprattutto "de sinistra") mi attribuivano e mi attribuiscono velleità politiche (puntualmente smentite dal mio percorso estremamente rettilineo). Ricordiamoci di tutte le critiche che sono state espresse a questo lavoro, critiche che in generale hanno detto molto poco di esso, ma molto su chi le formulava...

Questa, caro Alberto, non è autocelebrazione, è un dato di fatto, che se vorrai sei invitato a falsificare, fornendomi esempi del contrario. Temo che mi sarà facile confutarteli con controesempi. E aggiungo, caro Alberto, una pagina che dovrebbe indurre in te una riflessione un pochino più articolata. Molti, questa pagina, una pagina nella quale una persona per bene come te riceve una lezione, l'hanno letta senza averla mai letta, e una eletta minoranza di altri l'ha letta senza averla capita. Chissà se tu l'hai letta, e se leggendola la capirai?

Enjoy!




- Monsieur l’évêque, dit-il, avec une lenteur qui venait peut-être plus encore de la dignité de l’âme que de la défaillance des forces, j’ai passé ma vie dans la méditation, l’étude et la contemplation. J’avais soixante ans quand mon pays m’a appelé, et m’a ordonné de me mêler de ses affaires. J’ai obéi. Il y avait des abus, je les ai combattus ; il y avait des tyrannies, je les ai détruites ; il y avait des droits et des principes, je les ai proclamés et confessés. Le territoire était envahi, je l’ai défendu ; la France était menacée, j’ai offert ma poitrine . Je n’étais pas riche ; je suis pauvre. J’ai été l’un des maîtres de l’État, las caves du Trésor étaient encombrées d’espèces au point qu’on était forcés d’étançonner les murs, prêts à se fendre sous le poids de l’or et de l’argent, je dinais rue de l’Arbre-Sec à vint sous par tête. J’ai secouru les opprimés, j’ai soulagé les souffrants. J’ai déchiré la nappe de l’autel, c’est vrai ; mais c’était pour panser les blessures de la patrie. J’ai toujours soutenu la marche en avant du genre humain vers la lumière, et j’ai résisté quelque fois au progrès sans pitié. J’ai, dans l’occasion, protégé mes propres adversaires, vous autres. Et il y a à Peteghem en Flandre, à l’endroit même où les rois mérovingiens avaient leurs palais d’été, un couvent d’urbanistes, l’abbaye de Sainte-Claire en Beaulieu, que j’ai sauvé en 1793. J’ai fait mon devoir selon mes forces, et le bien que j’ai pu. Après quoi j’ai été chassé, traqué, poursuivi, persécuté, noirci, raillé, avec mes cheveux blancs, je sens que beaucoup de gens se croient le droit du mépris, j’ai pour la pauvre foule ignorante visage de damné, et je accepte, ne haïssant personne, l’isolement de la haine. Maintenant, j’ai quatre-vingt-six ans ; je vais mourir. Qu’est-ce que vous venez me demander ?

- Votre bénédiction, dit l’évêque.




(avrei potuto usare Parini...).

martedì 17 giugno 2014

Crisi e corruzione in Italia

(piatto ricco mi ci ficco)

Dunque: devo ancora smaltire la coda dei commenti al precedente post sull'argomento, bella collezione di peerle sulle quali occorrerà fare una riflessione. Questo blog è il crocevia di tantissime (in)competenze e di tantissimi (sapere di) saperi, mai avrei immaginato in vita mia di trovare così stimolante un'attività che comunque a me è sempre piaciuta molto, quella di insegnante/divulgatore, e di questo vi ringrazio. Certo che di statistica si sa veramente poco, e le conoscenze in merito appaiono drammaticamente scorrelate dal livello di cultura generale, e anche, purtroppo, dal possesso di una tessera elettorale...

Ripeto: se la democrazia deve essere il fascismo dell'opinione, aridatece Luigi XIV...

Comunque, siccome siamo amici, vi dico in anteprima quello che ho appena detto al Tg2, così quando mi vedrete sarete già preparati.

La domanda era:

"Esiste, e se esiste quanto è rilevante, una relazione fra corruzione crisi economica italiana?"

La risposta è stata:

"Esiste una percezione popolare, paradossalmente alimentata da una certa classe politica, che siamo in crisi perché i politici 'se so magnati tutto', e quindi la colpa sarebbe della corruzione del ceto politico che avrebbe fatto lievitare la spesa pubblica per arricchirsi. La corruzione va ovviamente combattuta, ma questo argomento populista non trova particolare supporto nella letteratura scientifica, per un paio di ragioni.

La prima è che la nostra crisi, come è ormai ampiamente ammesso dalla stessa Bce, è una crisi di finanza privata e non di debito pubblico. Quindi le malversazioni di Batman, per quanto odiose, non c'entrano molto. Solo di recente la letteratura scientifica si è dedicata allo studio della relazione fra corruzione e qualità del credito privato. I primi risultati dicono che questa relazione esiste, e quindi in effetti la corruzione una responsabilità nella crisi europea ce l'ha. Solo che l'Italia, nonostante i noti scandali, rimane uno dei paesi nei quali il sistema bancario ha retto meglio l'urto della crisi finanziaria globale (nessuna banca è stata finora nazionalizzata, mentre nei paesi virtuosi è successo e continua a succedere). Quindi per questa via la corruzione, pur essendo illegale, e rimanendo pertanto un problema di rilevanza amministrativa o penale, oltre che etica, non pare sia stata un problema macroeconomico per il nostro paese.

Se poi volessimo, ignari delle parole della Bce, andare a esplorare la relazione fra corruzione e debito pubblico, anche qui gli studi sono molto recenti e tuttora sottoposti al vaglio della comunità scientifica. Cooray e Schneider (2013), utilizzando dati dal 1996 al 2012, trovano una relazione positiva, con una semielasticità del rapporto debito/Pil all'indicatore di corruzione percepita di Kaufmann, Kraay e Mastruzzi che va dal 2% al 5%. A parte il fatto che bisognerebbe vedere quanto questo risultato sia influenzato dalla eccezionale dinamica esplosiva del debito pubblico negli ultimi anni del campione (lo studio non presenta alcuna statistica per la verifica delle classiche ipotesi di normalità dei residui e linearità della forma funzionale), il punto è che se lo prendessimo per buono, nel decennio di preparazione della crisi (1997-2007) il debito pubblico italiano in rapporto al Pil sarebbe dovuto aumentare di circa 5 punti. Invece è diminuito di 10!

Quindi, ancora una volta, gli studi più seri e documentati, quando confermano l'esistenza del fenomeno, forniscono stime del suo impatto piuttosto contenute (se e quando sono significative), e soprattutto gettano una luce critica sull'argomento che in Italia siamo in crisi perché 'i politici corrotti se so' magnati tutto'. La realtà italiana si è mossa in direzione opposta, sia che si consideri la crisi come di finanza privata, che se la si consideri come di finanza pubblica. Il problema è più complesso, coinvolge anche e soprattutto forme di corruzione non percepite, e richiede una riflessione profonda che abbracci l'analisi della qualità complessiva delle istituzioni".



(ah, a proposito: andandosene il redattore mi ha detto che Renzi vuole svendere gli apparati di trasmissione della Rai, che poi sono anche quelli sui quali passano certe trasmissioni criptate di interesse nazionale. Voi lo sapevate? Io avevo trasentito qualcosa. Il mio commento è stato: "Qui o cominciate ad allargare gli orizzonti, o temo che possa finire come con l'ERT". Il rischio, purtroppo, c'è, e Mr. Bean è lì per trasformarlo in una certezza...)

(...altro backstage: stavo in jeans e Lacoste, ho detto: "Mentre montate la telecamera mi berlusconizzo un po'!" Risposta: "Può anche renzizzarsi!" Controrisposta: "Preferisco l'originale alla copia". Quindi camicia azzurra, e cravatta di Damiano Presta. E passa la paura...)

(...piuttosto: io avevo detto "Domani vengo a correre a Saxa Rubra, poi passo da voi." E loro: "No, no, mandiamo una troupe noi da lei...". I casi sono due: o sono diventato importante, o li hanno già messi sotto una tenda! Speriamo di no, sono dei bravi ragazzi e non se lo meritano di certo. Intanto, un affettuoso ringraziamento a mia suocera che ha prestato i suoi studios, come già nella famosa intervista...)