martedì 31 dicembre 2013

Audizione informale alla Commissione Finanze: il mio discorso di fine anno



(segue la trascrizione della mia audizione da parte della Commissione Finanze della Camera il 4 dicembre 2013. Questo è il video, che alcuni già avranno visto:




e le slide le potete scaricare qui. Dal video noterete una certa stanchezza, e ve ne ricorderete i motivi

Nella trascrizione ho fatto un moderatissimo editing, restando il più possibile aderente al tono colloquiale. Mi son tenuto gli anacoluti, ma ho aggiunto qualche link alle fonti e qualche grafico, che per rispetto del tempo degli onorevoli non avevo inserito nelle slide consegnate alla Commissione - peraltro, sono dati che a loro sono certamente noti, come ad esempio l'andamento del debito pubblico italiano.

In questa audizione ho inteso sottolineare due concetti fondamentali, facilmente desumibili dalla macroeconomia elementare:

1) le politiche di austerità sono una scelta obbligata a causa della rigidità nominale determinata dall'euro;

2) di conseguenza, l'euro è contrario alla ratio di una unione economica, perché la sua adozione costringe a politiche che, in caso di problemi, distruggono il mercato interno.

Il primo punto deriva dalla più banale logica economica: la domanda di un bene dipende dal reddito del consumatore e dal prezzo relativo. La domanda di beni esteri quindi dipende anche dal cambio, che è una componente del prezzo di questi beni. Se introduci un elemento di rigidità nel cambio, dovrai compensare con una maggiore variazione del reddito. Quando, come ora, il problema è il debito estero, la soluzione è comprare (importare) di meno dall'estero, o vendere (esportare) di più. Ma dato che il reddito del resto del mondo è esogeno (non lo controllano né Letta né Napolitano), l'unica cosa che un paese col cambio ingessato può fare per migliorare le cose nel breve periodo è agire sul reddito dei propri cittadini, forzandoli a comprare di meno. Come lo fa? Semplice: togliendogli soldi (che poi avvia, attraverso i meccanismi di stabilità tipo MES, ai creditori esteri).

Vorrei anche ricordare che la svalutazione, in un paese in deficit estero che abbia conservato la propria valuta nazionale, non è di per sé una sleale macchinazione di governanti cialtroni o di rapaci finanzieri. È la semplice e fisiologica conseguenza del fatto che se il resto del mondo per comprare i tuoi beni deve prima comprare la tua valuta nazionale, quando compra di meno i tuoi beni, allora domanda di meno anche la tua valuta, e quindi questa si deprezza fisiologicamente per la legge della domanda e dell'offerta.

È il mercato, bellezza! Se non piace basta dirlo! A me non piace tantissimo, altrimenti non insegnerei politica economica, ma distorcerlo a svantaggio del mio paese mi piace anche di meno, sai?

Eppure, chissà perché, gli spaghetti-liberisti sono tutti pro-market sfegatati, tranne quando il mercato in questione è quello delle valute. D'altra parte, ora siamo in una situazione nella quale siccome i beni di alcuni paesi dell'eurozona - tipicamente la Germania - per una serie di motivi sono molto domandati anche all'esterno dell'eurozona, questo fa apprezzare la valuta di tutti, cioè l'euro, anche quando l'apprezzamento sarebbe richiesto per aggiustare i conti di uno solo, e svantaggia gli altri paesi, che invece sono in deficit, e quindi sono vieppiù costretti a castrare il proprio reddito per evitare squilibri ormonali - pardon, strutturali - di bilancia dei pagamenti. Ovviamente questo dipende anche dal fatto che il paese in surplus è il più grosso (la Germania), e alcuni di quelli in deficit sono minuscoli (la Grecia).

Il secondo punto è meno ovvio, o se volete più originale. Pare che nessuno si sia accorto che i paesi europei sono impegnati in una politica di svalutazione interna competitiva. Con in più il dettagliuzzo, che a voi è ben noto, e che generalmente sfugge, che questa politica è la risposta a un'aggressione provieniente dai paesi forti. A differenza della svalutazione esterna (quella del cambio) la svalutazione interna, passando per l'austerità, distrugge il mercato interno, ed è quindi sostanzialmente suicida, in particolare perché annulla il beneficio di unirsi ad altri paesi per creare un grande mercato, comune o unico che sia. Una cosa talmente semplice ed evidente che chi ha gli occhi foderati di PhD non se n'era accorto, nonostante, ahimè, la logica sottostante sia stata chiaramente esposta da uno di loro, come vedrete qua sotto!

Che poi uno dovrebbe chiedersi, come si chiedeva uno di voi non ricordo se qui o su Twitter: "Chissà perché quelli che temono così tanto il currency debasement, la svalutazione della moneta, sono invece così tolleranti con il labour debasement, con la svalutazione del lavoro?" E la risposta potrebbe essere nella domanda: magari perché di currency ne hanno molta (anche e soprattutto quando sono "de sinistra") e lavorare hanno lavorato poco (anche quando sono "economisti d'area der sindacato"). Naturalmente se avete una spiegazione migliore, io son qui per accoglierla. Ognuno difenda pure i suoi interessi, ma non faccia finta di difendere quelli altrui, perché gli altrui di turno, scoperta l'impostura, potrebbero anche irritarsi, e in questo periodo molti hanno i nervi a fior di pelle...

I due punti sottolineati qua sopra li avevo esposti alla conferenza di Pescara, della quale devo ancora terminare di pubblicare i lavori, e ribaditi nel mio incontro con l'IDV, poi ancora al Parlamento Europeo, e poi nuovamente al convegno di Roma, al quale era presente anche Jacques Sapir, che a sua volta ha ripreso questi semplici argomenti - il secondo dei quali pare fosse finora sfuggito a tante menti eccelse! - in un suo post. Gli altri colleghi del Manifesto di Solidarietà Europea mi hanno altresì onorato accogliendo questo semplice, ma basilare, concetto in una dichiarazione congiunta che spero di potervi presto proporre.

Vorrei anche sottolineare il perché intendo che questo sia il discorso che chiude un anno, e ne apre un altro, nel quale auspico si possa condurre un dibattito che abbia un senso, e che si liberi, magari non immediatamente, ma rapidamente, dalle ipocrisie che ci hanno finora impedito di procedere speditamente nell'elaborazione di una coscienza critica (soprattutto a sinistra). Il motivo è molto semplice: nell'audizione ho cercato di essere il più chiaro possibile, e a grandi linee credo di esserci riuscito, per cui d'ora in avanti i colleghi per i quali "l'austerità è di destra ma l'euro di sinistra" - o anche semplicemente chi si sciacqua la bocca con la parola austerità ma non pronuncia la parola euro perché "mamma non vuole e De Cecco nemmeno" - dovranno argomentare punto per punto, chiarendo - in particolare - come sarebbe possibile secondo loro fare politiche espansive di qualunque tipo (fiscale, monetario) e a qualsiasi livello (nazionale, sovranazionale) in presenza di cambi rigidi senza aggravare il deficit estero dei paesi più deboli, oppure faranno meglio a cambiar disco, scegliendone uno meno rotto. 

Questo, ovviamente, escludendo l'unica soluzione che avrebbe un senso: che queste politiche siano fatte a livello nazionale dai paesi più forti, richiesta oggetto di infiniti "accorati appelli".

Ma gli accorati appelli si qualificano ormai per quello che sono: un maldestro tentativo di cadere in piedi in ogni possibile scenario, dandosi una sverniciatina di sinistra (quanto è cattiva l'austerità signora mia! Quanto è buono lo Stato!), ma guardandosi bene anche solo dal nominare lo strumento principe della mobilità, e quindi della capacità offensiva, del capitale nell'Eurozona: l'euro, appunto. Euro che, vorrei ricordare agli stimati colleghi, non è stato fatto per permettere ai piddini antropologici di viaggiare senza portarsi dietro la calcolatrice. No. Questo possono crederlo loro, che nella propria sterminata presunzione di sapere ritengono di essere il centro del mondo e delle relative scelte di politica economica! L'euro è stato fatto perché chi intendeva prestare dissennatamente non dovesse correre alcun rischio, o meglio, lo trasferisse sui contribuenti dei paesi politicamente deboli. È stato fatto, insomma, per dare al capitalismo più rapace un ulteriore vantaggio nella sua lotta contro il lavoro. È l'integrazione finanziaria, bellezza!

L'euro è l'integrazione finanziaria, e l'integrazione finanziaria è la disintegrazione del lavoro.

Perfino l'onorevole Fassina - che per molti di voi, in camera caritatis, è un servo sciocco del capitale - lo ha ammesso, e addirittura a Servizio Pubblico: il problema nasce a causa dell'eccessiva mobilità dei capitali! Vi siete fatti sorpassare a sinistra da Fassina! Certo, per voi deve essere un bello smacco, voi che siete "critici"!

Lo vedete il disegnino?


Da quando si schiaccia l'elettrosalariogramma? Dall'inizio degli anni '80, dalla fine dell'epoca della repressione finanziaria, cioè dall'inizio della progressiva, inarrestabile e finora incontrollata deregulation dei mercati finanziari. La coperta è sempre quella, e se la tiri dalla parte del capitale, permettendogli di fare il porco del comodo suo (che è quello che voi volete, difendendo l'euro), necessariamente il lavoro prenderà freddo (che è quello che fate finta di non volere): il sistema diventerà instabile, e il capitale trionfante condurrà l'economia verso una colossale crisi debitoria, per i semplici e ovvi motivi che ho spiegato al Parlamento Europeo.

(ah, già, ma lì non dovevo andarci, perché mi avevano invitato i conservatori! Eh, capisco...)

Quelli che vogliono l'euro ma anche la Tobin tax, poi, mi fanno veramente pena, e forse anche un po' ribrezzo, perché ci dovrà pure essere un limite a quanto uno può essere baggiano, no? Come dire: "Caro capitalista, vieni, facciamo la lotta di classe! Io ho una fionda, a te regalo un mitra, ma ti tolgo lo 0.01% di pallottole dal caricatore pieno!" Del resto, questi geni dell'arte della guerra, questi incorrotti difensori della vedova e dell'orfano, sono anche quelli che volevano l'euro ma non volevano Marchionne, ricordate?

Questa è l'idea "di sinistra", l'idea"foriera di pace" che state difendendo! Ascoltate Panagiotis, e chiedete scusa ai greci! Ascoltate Alberto e chiedete scusa agli spagnoli! Certo, con gli italiani non vi potete scusare, me ne rendo conto: sarebbe nazionalismo, Dio ne guardi!

Mi è doloroso rimarcarlo: nonostante ci siano più le mezze stagioni, ci sono troppi mezzi economisti per tutte le stagioni. Chi nega la catena causale che lega la presenza dell'euro alla necessità di fare politiche autodistruttive sta semplicemente difendendo il regime eurista. Ovviamente, la sua scelta è lecita, come ogni scelta politica. Le mia pacate parole non intendono certo contestare la legittimità di questa scelta, come di qualsiasi altra scelta politica, non sia mai! Fra l'altro, non è nemmeno detto che questa scelta sia "di destra" in senso partitico, visto che in Italia, per motivi sui quali ci sarebbe da dire molto, uno dei baluardi dell'eurismo è proprio il sindacato. Questo concorre a spiegare perché sia la sinistra partitica a difendere a spada tratta, anche se ormai da sola, l'euro. Le mie pacate parole intendevano rimarcare un altro punto: non è lecito camuffare una simile scelta da atteggiamento "progressista", quando è evidente che essa conculca i diritti dei lavoratori, e più in generale dei "piccoli" - partite Iva loro malgrado, piccoli commercianti,  piccoli imprenditori, artigiani, ecc. - né proporla come verità "tecnica", quando qualsiasi Econ102 basta a smentirla, come vedrete qua sotto, e nel successivo post dedicato al dibattito sul mio intervento. Ma tanto, ormai, queste pezze rosse son cucite col filo nero: non attacca più, colleghi! Dite la verità, dopo vi sentirete meglio...)










Ringrazio il presidente e ringrazio la Commissione per aver ritenuto di coinvolgermi in questa iniziativa. Una sola rettifica per dovere di cronaca: io in realtà insegno Politica economica, presso l’Università Gabriele D’Annunzio e ho seguito un percorso di ricerca che mi ha portato ad occuparmi, nel corso della mia carriera accademica, della sostenibilità degli squilibri di bilancia dei pagamenti e degli squilibri fiscali nei paesi in via di sviluppo, e anche, ultimamente, nell'Eurozona.

Penso che nella mia qualità di esponente del mondo accademico il mio ruolo in questa sede istituzionale sia quello di fornire ai decisori politici alcuni elementi di giudizio che provengono dalla letteratura economica, alcuni dati di fatto che consentano loro di orientarsi nel quadro che abbiamo davanti, nel grande quadro, perché suppongo, e sono anzi certo, consapevole, con grande umiltà, del fatto che su tutta una serie di snodi tecnici, legislativi, ecc., riguardanti gli aspetti della gestione della politica tributaria ognuno di voi è molto più competente di me.

Io vorrei insistere in particolare su tre punti:

1) vorrei evidenziare la relazione che esiste fra l'euro e la necessità di orientare la politica tributaria e quella fiscale nel senso dell'austerità;

2) vorrei anche evidenziare, in senso più ampio, il rapporto che c'è fra l'adozione dell'euro e le logiche che dovrebbero guidare un’unione economica, per vedere se il meccanismo monetario attuale sia compatibile in effetti con la logica di un’unione economica;

3) vorrei anche rapidamente attirare la vostra attenzione, senza fare una lezioncina ma semplicemente fornendo alcuni elementi critici, su quello che gli studi scientifici più recenti ci dicono del rapporto fra il vincolo esterno, inteso come adozione di un cambio forte o di una valuta forte, e gli incentivi che i paesi forti e deboli di un’unione economica hanno a compiere le necessarie riforme strutturali.

Vorrei partire da un presupposto che credo sia condiviso da chiunque in questa commissione, come in tutto il paese, cioè che l’Italia, come tanti altri paesi del resto, è un paese intrinsecamente perfettibile, che ha bisogno di riforme. Il problema è capire se legarsi a paesi più forti di noi attraverso uno strumento monetario e attraverso regole fiscali di un certo tipo sia la migliore strada per compiere queste riforme. Tutto qui.


L'austerità c'è perché c'è l'euro

Circa le prospettive della politica tributaria nel quadro dell'euro quello che mi sento di poter dire è che gli squilibri che si sono accumulati negli ultimi dieci anni, e il comportamento dei partner europei (cosa importante perché qui ci stiamo interrogando su cosa si possa fare alla luce della presidenza italiana dell’Unione, quindi ci siamo ci stiamo interrogando implicitamente sui rapporti con i nostri partner europei), bene: alla luce di questi squilibri e dei nostri rapporti coi partner europei, nel quadro dell’euro la politica tributaria in Italia può operare solo nel senso dell’austerità.

La cosa interessante è che la politica di austerità è stata al contempo efficace ed inefficace.

È stata inefficace rispetto agli obiettivi dichiarati ex ante, che erano quelli di risanare le finanze pubbliche, e rispetto a queste abbiamo visto che è stata un totale disastro, perché il debito pubblico è schizzato a livelli che non sperimentavamo più dall’inizio degli anni ’90.



È stata però efficace rispetto all'obiettivo vero, dichiarato ex post, ovvero quello di aggiustare i conti con l'estero.

Per capire cosa intendo, vorrei ricordarvi quella che è la visione ormai ampiamente condivisa, sia nella letteratura scientifica che nelle sedi istituzionali, circa la vera natura della crisi economica in atto, e per questo vi vorrei citare le frasi con le quali il vicepresidente della Bce Vitor Constâncio, il 23 maggio del2013, ad Atene, ha descritto la crisi che stiamo vivendo, dicendo che “gli squilibri che stiamo subendo hanno tratto origine fondamentalmente da una spesa crescente del settore privato... che è stata finanziata dal settore bancario dei paesi e creditori... il mercato finanziario europeo non si è comportato come la teoria prevedeva che si comportasse...” (la teoria, evidentemente, sposata dal presidente Constâncio), “l’esposizione dei paesi creditori verso i paesi in crisi si è quintuplicata... questo ha portato i paesi in crisi a perdere competitività”.

La mia sintesi è che il presidente Constâncio sta dicendo che la crisi è stata determinata dal fatto che le economie periferiche sono state drogate dalla possibilità di indebitarsi con l'estero a tassi agevolati, e in particolare di indebitarsi con i paesi del centro dell'Eurozona, del core, diciamo con la Germania. In tutto questo il settore pubblico c'entra poco: la crisi è stata un colossale fallimento della finanza privata.

Se vedete la quinta slide della prima pagina, c'è un semplice indicatore che ci fa capire che la nostra crisi non è una crisi debito pubblico ma di debito privato:



(immagine tratta dal primo post di questo blog).

Per ogni paese abbiamo due barre: quella blu misura l'incremento del debito pubblico, quella rossa l'incremento del debito estero, nel periodo di gestazione della crisi. Si vede che in paesi come l'Irlanda, l’Italia, la Spagna il debito pubblico è addirittura diminuito, in paesi come la Grecia dal 2000 al 2007 il debito pubblico è rimasto pressoché stabile, quello che è aumentato ovunque è il debito estero, il che significa che sono stati i settori privati di questi paesi, cioè le famiglie e le imprese ad indebitarsi con creditori esteri, e questa peraltro è la causa dell'attuale crisi del sistema bancario.

Qual è la relazione tra austerità e conti esteri? La descrive questo schema:



Si tratta di una relazione estremamente semplice: se taglio la spesa pubblica, o alzo le imposte, di fatto diminuisco i redditi disponibili dei privati. Ciò determina due effetti benefici sui conti esteri, ma dolorosi per l'economia. Se diminuisco i redditi privati riduco i consumi e quindi riduco le importazioni e migliorano i conti esteri. Al tempo stesso creo disoccupazione, è triste ma è così, riesco a imporre flessibilità a dei lavoratori che pur di rientrare nel mercato del lavoro accettano condizioni contrattuali meno favorevoli, e in questo modo modero i salari (è quella che si chiama "svalutazione interna"), e per questa via aumento le esportazioni. Quindi, se ci fate caso, l'austerità ha due effetti positivi sui conti esteri: aumenta (un po’ più lentamente) le esportazioni e diminuisce (immediatamente) le importazioni.

Viceversa, per quel che riguarda i conti pubblici, non ci dobbiamo aspettare che l’austerità abbia effetti necessariamente positivi, e il motivo è esposto in questo schema:


Se io taglio la spesa pubblica o alzo le imposte, evidentemente migliora il saldo di bilancio, e questo è un effetto positivo. Il fatto è che però, in questo caso, il secondo effetto è negativo e annulla i benefici del primo, perché se taglio la spesa pubblica taglio comunque redditi, domanda interna, riduco gli imponibili, quindi riduco il gettito fiscale. Il saldo di bilancio, che è migliorato perché ho ridotto le spese, poi peggiora perché diminuiscono le entrate. I due effetti si compensano almeno in parte, il deficit pubblico migliora di poco, il debito continua a crescere, ma siccome abbiamo abbattuto il Pil, il rapporto debito-Pil esplode, che è quanto abbiamo visto nella prima immagine.

Osservate la seconda slide della seconda pagina:


Si vede benissimo che dal 2011, cioè dall’avvento del governo Monti e dall'inizio dell'austerità, in effetti, mentre il saldo di bilancio pubblico è passato da -3.6 a -3.2 punti di Pil, con un miglioramento 0.4 punti di Pil, il saldo estero è passato da - 3 a zero con un miglioramento di 3 punti di Pil. In altre parole, nonostante la professione economica sia tanto disprezzata, i dati si sono conformati esattamente a quello che la professione economica prevede, cioè che una politica di austerità abbia effetti immediati ed efficaci sul saldo estero, ed effetti molto meno efficaci sul saldo pubblico.

D'altra parte che il reale obiettivo di queste politiche fosse quello di, come dire, venire incontro ai creditori esteri più che alle esigenze del paese, riducendo l'indebitamento dell'Italia verso l'estero, in una situazione nella quale il debito pubblico, come abbiamo visto, stava già diminuendo, lo anche detto in termini abbastanza espliciti il presidente Monti, intervistato da Fareed Zakaria alla CNN il 18 maggio 2012, quando ha dichiarato che l'Italia stava guadagnando posizioni migliori in termini di competitività a causa delle riforme strutturali, che avevano permesso di “distruggere la domanda interna” (letterale) attraverso l'austerità (fiscal consolidation è il termine aulico per austerità):



Il presidente Monti concludeva con un’osservazione interessante, che è questa: “Siccome noi abbiamo distrutto la nostra domanda, se non ci sarà una politica europea, fatta non da noi, ma dagli altri, di espansione della domanda, i benefici che abbiamo raggiunto non saranno sostenibili nel lungo periodo". Insomma: noi per pareggiare i conti con l'estero abbiamo “ucciso” il Pil, e così abbiamo fatto salire il rapporto debito-Pil, creando un problema di sostenibilità del debito pubblico che prima non c'era, ma se gli altri non ci aiutano dovremo continuare su questa strada avvitandoci in una spirale deflazionistica. 

Questo è molto importante osservarlo, perché la percezione che si è avuta nel dibattito italiano è stata, vi ricordo,  che dopo le elezioni tedesche la Germania finalmente avrebbe fatto delle concessioni, e si sarebbe messa su un percorso di maggiore cooperazione con i paesi europei. Ma abbiamo visto che in Germania in realtà dopo le elezioni tedesche la governance politica non è uscita esattamente rafforzata, è dovuta venire a compromessi anche con il partito socialdemocratico, ma questo non ha particolarmente migliorato le cose, perché in realtà l'atteggiamento del partito socialdemocratico, come avevo anticipato nella mia opera di divulgazione e di pubblicistica, e come si sapeva, com’era evidente, è molto molto più, come dire, di chiusura nei riguardi dei partner europei, rispetto a quello dei conservatori.

Quindi, fondamentalmente, vorrei ricapitolare questo punto, prima di andare avanti. L’austerità a cosa serve? Serve di fatto a praticare la svalutazione interna, cioè a recuperare competitività se non si può aggiustare il cambio. La svalutazione interna è resa necessaria perché non si può avere svalutazione esterna, cioè perché non si può aggiustare il valore del cambio. C’è un preciso nesso causale monodirezionale che dice che siccome c’è l’euro dobbiamo fare soluzione interna, e quindi dobbiamo fare austerità. Questo è importante capirlo, perché nel dibattito politico e nel dibattito economico, alcuni miei colleghi continuano ad attribuire alla austerità, e non tanto all'esistenza di regole monetarie, come dire, un po’ irrazionali il fallimento conclamato delle politiche europee. Di fatto l'Eurozona è l'unica area nella quale la domanda sta flettendo, mentre negli Stati Uniti e in Giappone sta crescendo:



Il punto fondamentale è che la contrapposizione austerità vs. euro non ha senso, perché questi due fenomeni sono strettamente legati: dobbiamo fare austerità perché c’è l’euro.

Questo è il punto che va afferrato. Se non si afferra questo purtroppo ci si avviluppa in un dibattito  privo di senso. In altre parole, a contrario, se noi potessimo oggi ceteris paribus, a parità di altre condizioni, raddoppiare con una  bacchetta magica il reddito di tutti gli italiani, cosa che ogni politico vorrebbe evidentemente poter fare, soprattutto prima delle elezioni, il risultato sarebbe che la maggior parte di questo reddito andrebbe speso ahimè in beni esteri, perché gli attuali rapporti di prezzo che si sono creati all'interno dell'unione, e il fatto che il 50% del nostro commercio è comunque con i paesi dell’Unione europea (per una cosa che gli economisti chiamano gravity model of trade e che le persone di buon senso capiscono, ed è che commerci evidentemente di più col tuo vicino, perché ci sono dei costi di trasporto), bene: siccome rispetto ai nostri vicini abbiamo dei rapporti cambio, quindi di prezzo, che attualmente sono svantaggiosi a noi, se noi facessimo una politica di domanda espansiva semplicemente andremmo ad alimentare e a consolidare la crescita delle altre economie.

Quindi, in buona sostanza, dentro l'euro le speranze di crescita, anche agendo sulla leva fiscale o sulla leva tributaria ahimè sono poche.

L'euro è contrario al fondamento razionale di un'unione economica

Vorrei attirare la vostra attenzione sul secondo punto, riguardante il fondamento razionale delle unioni economiche. Noi viviamo immersi in un serie di messaggi che sono con grande abilità, con grande sottigliezza propagati dai media, messaggi che presentano una propria plausibilità, ma dalle cui seduzioni è importante che il decisore politico prenda distacco. In particolare, molto spesso, quando parliamo del nostro percorso europeo, usiamo quella che io chiamo la teoria del grande pennello. Non so se ricordate la pubblicità del pennello Cinghiale: per dipingere una grande parete occorre un pennello grande. Allora, calata nella realtà della politica economica internazionale, della globalizzazione, la teoria del grande pennello è che siccome la Cina è grande, anche noi dobbiamo diventare grandi, perché se i competitor sono grandi, anche noi dobbiamo essere grandi. Non vi è una particolare razionalità economica, in realtà, in questo tipo di atteggiamento.


Intanto, vi fornisco un immediato controesempio: il primo paese che mi viene in mente (perché tra l'altro, insegnando Economia della globalizzazione, devo spiegare ai miei studenti che ci sorpasserà per reddito e nel 2050 sarà il secondo paese al mondo per reddito pro capite, come si vede nell'immagine sottostante), cioè la Corea del Sud, è un paese schiacciato fra il gigante cinese e quello giapponese.

Stranissimamente (si fa per dire) non mi risulta che abbia sentito il desiderio di stringere un’unione monetaria né con la Cina né con il Giappone, ma ha preferito rimanere piccolo e flessibile, il che qualche cosa dovrebbe dirci. Potrei anche annoiarvi sulla sua struttura di vantaggi comparati, che è molto simile alla nostra (è un paese vocato all'export manifatturiero, privo di materie prime, e con un moderato svantaggio comparato nel settore primario):

Perché non ha fatto l’unione monetaria con il Giappone o con la Cina, dovremmo chiederci?

La risposta viene dalla teoria economica. Mi piace citare in questo senso Alberto Alesina, di Harvard, che nel 1997, nei Brookings Papers on Economic Activity, che sono una rivista estremamente prestigiosa, commentando un articolo di Maurice Obstfeld, dell'Università di Berkeley, chiarì un punto fondamentale, ovvero che il beneficio fondamentale di un’unione economica è la creazione di un vasto mercato interno che funga da ammortizzatore contro shock esterni di domanda. Mi spiego: crolla l'America perché c’è il crollo dei subprime, la gente si trova per strada e noi non esportiamo più verso l'America. Ma che ci importa? Se abbiamo un grande mercato interno la nostra crescita è alimentata da consumi e investimenti dei nostri cittadini. Questo sarebbe il senso di stringere un’unione economica.

A fronte di questo vantaggio, come sempre in economia, ci sono svantaggi, nel senso che in una unione, come voi sperimenterete in prima persona nei vostri rapporti per esempio con le istituzioni europee, più si è più si fa fatica a decidere, meno si è flessibili ecc. Nel 1997 Alberto Alesina confrontando i costi con i benefici, cioè il costo della scarsa flessibilità e della scarsa adattabilità alle sfide lanciate dalla globalizzazione (che un mastodonte necessariamente subisce), rispetto al beneficio di avere un mercato interno, concludeva che sarebbe stato meglio per l'Italia restare fuori dall'euro. Poi nel frattempo ha cambiato idea, io non so bene perché lo abbia fatto, ma questo comunque riguarda lui e la sua coscienza, non i nostri lavori oggi.

Quello su cui vorrei però attirare la vostra attenzione è che la svalutazione interna è incompatibile con la logica di un’unione economica. Perché? Perché se facciamo un’unione economica per avere un mercato interno florido, che ci difenda dagli shock esterni, ma ci troviamo poi nella situazione nella quale per difenderci da shock esterni dobbiamo uccidere la domanda interna, come vi ho detto all'inizio, cioè praticare politiche di austerità per promuovere la svalutazione interna. Con l'euro in caso di shock negativi di domanda i paesi in difficoltà possono cavarsela solo distruggendo la domanda interna, come ha molto apertamente e onestamente detto il presidente Monti alla CNN, cosa che ha scandalizzato tante persone, ma non può scandalizzare un economista, perché qualsiasi economista sa che se non puoi fare un aggiustamento di prezzo, cioè di cambio, devi fare un aggiustamento di reddito. Nelle funzioni di domanda, inclusa quella di importazioni, queste due cose: reddito e prezzi, se ne blocchi una puoi muovere solo l’altra.

Di fatto quindi l’euro ci impone di rinunciare all'unico beneficio effettivo (secondo Alesina, 1997) di un’unione economica: quello di disporre di un vasto mercato che ci isoli da shock esterni.

Così facendo, a ogni crisi obbliga voi, in questa aula, a cercare nuovi modi di sottrarre reddito ai cittadini italiani, onde evitare che essi mandino in deficit la bilancia dei pagamenti.

L'euro è un impedimento sulla strada delle riforme

In effetti questa cosa non è un'assoluta novità, credo, per nessuno di voi, che più di me e per motivi di percorso professionale siete interessati al dibattito politico, perché i politici autori dell'entrata nell'euro hanno ampiamente confessato che l’euro come scelta aveva un fondamento politico e non economico. Il fondamento politico era a diversi livelli. Uno degli argomenti che vengono ripetuti più spesso (lo ho sentito anche questa mattina in una trasmissione radiofonica un pochino orientata alla quale ho dovuto partecipare) è quello secondo cui legandoci a un paese più forte e più virtuoso di noi saremmo stati costretti a fare delle riforme, a diventare più bravi. Questo atteggiamento è quello di chi dice che diciassette uccelli se legati insieme volerebbero meglio: lo sintetizzo così.
Entriamo nel merito: intanto fosse anche vero che legandoci a paesi più forti noi diventeremmo migliori perché faremmo le necessarie riforme strutturali, le riforme strutturali sono quelle dal lato dell'offerta (mercato del lavoro ecc.). Ora, il punto è che noi siamo in una crisi da carenza di domanda, quindi di offerta ce n’è anche troppa, per cui in questo momento occuparci delle riforme strutturali, cioè di aumentare l'offerta quando di offerta ce n'è troppa, non mi sembra il massimo della razionalità (poi ovviamente entrerò nel merito se me lo chiederete).

Ma il punto più interessante, o che almeno spero possa interessarvi, è che in generale il rapporto fra euro e incentivi alle riforme esattamente contrario di quello che viene propagandato. Mentre a noi è stato detto che legarci ci avrebbe stimolato a fare riforme, ormai esiste un corpo di letteratura scientifica piuttosto ampio e convincente che chiarisce come in realtà i vincoli esterni, i  cambi fissi, sono uno stimolo a rinviare, anziché ad anticipare, le riforme, per motivi molto semplici che vi illustrerò pianamente. E c’è anche un terzo punto: ormai esiste un corpo di letteratura scientifica piuttosto consolidato che dice che comunque, dove sono state fatte le riforme strutturali, in particolare quelle relative alla flessibilità del mercato del lavoro, esse hanno avuto effetti controproducenti proprio sulla produttività del lavoro, e anche qui il motivo è abbastanza intuitivo e cercherò di spiegarvelo nei limiti tempo che ho.
L'argomento secondo il quale legando a paesi migliori saremmo migliorati ha un antico lignaggio e deriva da un articolo di Giavazzi e Pagano pubblicato sulla European Economic Review del 1988, chiamato “L'importanza di legarsi le mani”, nel quale appunto si argomentava che un governo, o comunque una classe politica, cioè fondamentalmente voi, legandovi le mani a quelle di un paese supposto più virtuoso, sareste stati costretti a fare la cosa giusta, che nell’occasione in cui quell'articolo venne scritto era quella di avere meno inflazione.

In realtà analisi successive hanno chiarito che questo atteggiamento è un pochino semplicistico, e questo non solo e non tanto perché da un punto di vista democratico forse è anche giusto che un paese dove tutto sommato la sovranità è esercitata dal popolo possa decidere di comportarsi come meglio crede, ma per due motivi razionali.

Il primo è che, come hanno notato Tornell e Velasco nel Journal of Monetary Economics del 2000 (ma il lavoro circolava già dal 1995), i cambi flessibili sono uno strumento di disciplina dei governi, perché se un governo sbaglia, per esempio facendo una politica fiscale troppo espansiva, e quindi cominciando a indebitarsi con il resto del mondo, immediatamente il tasso di cambio flette, dando al mercato un immediato segnale del fatto che qualcosa non va. Non solo: il mercato comincia ad assorbire gradualmente delle perdite, perché se il paese svaluta chi ha prestato subirà una perdita su cambi, e si regola, si ferma, smette di prestare.

Cos'è successo in Europa invece?

È successo che paesi che in cui il settore pubblico o privato aveva atteggiamenti di spesa eccessiva si sono visti a prestare soldi a profusione semplicemente perché è mancato il segnale che la svalutazione del loro cambio avrebbe dato ai mercati. Perché la Grecia si è potuta indebitare ai livelli ai quali si è indebitata? Semplice: perché era credibile. Non vi fidate delle persone che vi dicono che in economia esistono cose solo buone o solo cattive. La credibilità, come tutti gli aspetti economici, ha un lato positivo e un lato negativo. Il lato positivo è che se sei credibile ti danno tanti soldi. Il lato negativo è che facilmente te ne danno troppi, e poi devi restituirli e non sai come fare. Questo è quello che è successo alla Grecia. Avesse avuto la dracma, questa si sarebbe svalutata e non saremmo arrivati alla crisi alla quale siamo arrivati. Ma questa cosa, che si sapeva dal 2000 e forse anche da prima, è stata recentemente ripresa da Fernandez-Villaverde ed altri (stiamo parlando di università come la LSE e la Columbia) in un articolo intitolato Political credit cycles (I cicli politici del credito), pubblicato sul prestigioso Journal of Economic Perspectives, nel quale si sostiene molto convincentemente una tesi molto semplice: è stato proprio l'accesso al credito a buon mercato, garantito dall'integrazione monetaria europea, che ha permesso ai paesi deboli di rinviare le riforme. Se non ci fosse stata una totale integrazione monetaria, paesi che si stavano indebitando troppo sarebbero stati penalizzati dai mercati con l'imposizione i tassi d'interesse più alti da subito, oltre che con la svalutazione del cambio, e semplicemente non avrebbero potuto fare quello che hanno fatto. Peraltro questa cosa l'aveva detta anche Martin Feldstein nel 2005, e sto parlando di una persona che è stato capo dipartimento ad Harvard, nonché presidente del National Bureau of Economic Research. Vorrei anche che uscissimo dalla trappola di dire che gli americani parlano male dell'euro perché sono invidiosi. Esorterei ad avere un atteggiamento un pochino più aperto rispetto alle teorie che provengono da studiosi che insegnano in università così prestigiose.
Quello che sfugge, tra l'altro, e che in realtà è poi la chiave di lettura che vi propongo per un altro paio di snodi sui quali vorrei attirare la vostra attenzione, è che, proprio per il fatto che in economia non c'è nulla di intrinsecamente e totalmente buono per tutti, o intrinsecamente e totalmente cattivo per tutti, questa situazione, che spesso viene definita come una situazione che ha avvantaggiato la Germania, che quindi sarebbe cattiva, egoista e colpevole (secondo alcuni politici che si definiscono europeisti ma che per difendere l'euro attizzano in Italia sentimenti antigermanici - cosa che per me è un paradosso), questa situazione in realtà ha effetti di incentivo perversi anche sulle economie forti, e il motivo è molto semplice. Intanto se rimuovi i segnali che il mercato valutario dà, i creditori hanno un incentivo a prestare troppo, perché sanno che non incorreranno nel rischio di cambio. Perché i tedeschi hanno prestato così tanto ai greci, per esempio? Perché non essendoci più la dracma sapevano che avrebbero rivisto euro. Forse infatti rivedranno euro, ma forse anche no. Il punto però è esattamente quello che diceva il vice presidente Vitor Constâncio (trovate appunto la citazione all’ inizio). Ma c'è anche un altro aspetto. Tutti sappiamo che insomma l'euro è una moneta forte per noi ma debole per la Germania. Il problema è che se un paese riesce a fare profitti perché ha una valuta troppo debole, chiaramente non ha poi incentivi ad investire. Se ci fate caso, l'ultima slide di pagina 3 vi fa vedere che la Germania è il paese che ha il più basso rapporto fra investimenti e Pil nell'Eurozona, cosa che spesso non viene considerata.



Mi soffermo su un terzo punto, che è quello del reale impatto delle riforme strutturali, e poi mi avvio a concludere.

Le riforme strutturali dovrebbero migliorare l'offerta, ma la letteratura scientifica recente spiega però che la flessibilitàdel mercato del lavoro ha compromesso la produttività del lavoro, e questo non solo in Italia ma più in generale in Europa. Ci sono due lavori molto importanti di Robert Gordon e Ian Louis Dew-Becker, pubblicato nel 2008, e un altro di Francesco Daveri e Maria Laura Parisi, pubblicato nel 2010, che analizzano appunto il rapporto fra flessibilità del mercato del lavoro e produttività, scoprendo che quando si introduce flessibilità nel mercato del lavoro, soprattutto in uscita, per cui un lavoratore, come dire, si trova ad occupare posizioni precarie e non ha la possibilità di crescere con l'azienda, la sua produttività fatalmente cala, perché fondamentalmente il fatto di avere contratti a breve termine, di passare da una parte all'altra, impedisce quell’accumulazione di capitale umano che soprattutto in un sistema come quello italiano, basato sulla piccola e media impresa, avviene nel contesto dell’impresa e nel contesto di un rapporto di lavoro stabile e duraturo con un’impresa dove il lavoratore acquisisce queste competenze.
Vorrei giusto fare un rapidissimo commento sulle ultime due figure che trovate a pagina 4.



Veniamo accusati di non aver fatto le riforme strutturali, ma la linea nera fa vedere molto bene in che cosa è consistita la riforma strutturale della Germania: è consistita nella massiccia precarizzazione del mercato del lavoro che ha consentito una discesa della quota salari di circa 7 punti in 4 anni (mi riferisco al rapporto fra salari e Pil), quindi in una massiccia svalutazione competitiva salariale. Questo è un tipico esempio di politica beggar-thy-neighbour, cioè di politica di svalutazione aggressiva nei riguardi dei propri vicini, che poi saremmo noi. Ma questa politica ha dei costi sociali.



Li vedete nell’ultima figura, che mostra come l'indicatore di disuguaglianza dei redditi, il delta del Gini, in Germania sia decollato a partire dalle riforme strutturali. Ora, il problema è questo: la Germania è un paese ricco, e quindi se paga un po' di meno i suoi operai, gli operai stanno peggio di prima, ma stanno sempre meglio degli operai di un paese povero.

Se ci si lega a un paese ricco in un sistema che impone che l'aggiustamento in risposta a shock esterni passi attraverso la riduzione dei salari, vincerà sempre il paese ricco, perché quando il paese povero cerca di fare lo stesso tipo di aggiustamento, dovrà abbassare i salari al di sotto della soglia di sussistenza, che è poi quanto succede ora in Grecia.


L'euro sta diventando un gioco a somma negativa

Cosa dovrebbe chiedere e non potrà ahimè ottenere l'Italia durante il semestre europeo?

Mi dispiace concludere su questa nota negativa, che non vuole esprimere sfiducia nella capacità del vostro lavoro, nelle vostre competenze, e nelle competenze delle persone che ci rappresentano in Europa. Purtroppo, vedete, io ho molti colleghi i quali attualmente sostengono che risolveremo tutto andando in Europa a battere i pugni sul tavolo. Colleghi miei, quelli per i quali il problema è l’austerità: “Adesso andiamo in Europa e battiamo i pugni sul tavolo, così costringiamo l'Europa a fare meno austerità!”. Un vostro collega che non nomino, parlando con un mio collega che non nomino, ha fatto questa semplice obiezione: “Ma, gentile economista, il tavolo non c'è!”. Vale a dire: in Europa non esiste un reale spazio di negoziato ed è la crisi stessa che lo dimostra, perché se i paesi europei avessero avuto una reale volontà politica di cooperare, nulla avrebbe impedito loro di farlo già adesso, a bocce ferme. Anche con l'assetto istituzionale attuale la Germania avrebbe potuto fare quelle politiche cooperative che da quattro o cinque anni tutti i maggiori economisti mondiali le consigliano di fare nell'interesse di tutti. Ma lei non le sta praticando, e quindi ahimè credo che nessuno riuscirà, sbattendo i pugni sul tavolo che non c'è, a ottenere quello che si dovrebbe ottenere.
Cosa si dovrebbe ottenere secondo me? (un “secondo me” di  assoluta umiltà, nel senso che tutto quello che vi ho detto, ci ho tenuto anche a sottolinearlo, non sono idee mie ma provengono da studi di altri economisti).
È evidente che bisognerebbe ripensare le regole europee, e se uno proprio ci tenesse a mantenersi nell’euro, dovrebbe quantomeno orientare la politica fiscale nel senso di indirizzarla all'obiettivo esterno cioè all'obiettivo di mantenimento di conti esteri equilibrati, come di fatto già accade, ma in modo simmetrico. Vedete, all'inizio di questa relazione ho cercato di illustrare che la politica dell’austerità è stata fondamentalmente lo strumento attraverso il quale, tagliando i redditi, i paesi deboli hanno rimesso a posto i loro conti esteri. Bene: praticata in questo modo, si tratta di una politica intrinsecamente asimmetrica, perché  costringe chi è in posizione di debolezza a diventare ancora più debole uccidendo il proprio mercato interno. In un'Europa che volesse crescere armoniosamente e che volesse veramente profittare del beneficio di un'unione economica, cioè del beneficio di avere un grande mercato interno, bisognerebbe che anche i paesi in surplus facessero la loro parte, cioè facessero politiche più espansive. Bisognerebbe quindi introdurre una simmetria nelle regole fiscali europee, che in qualche modo assicurasse che i paesi in situazione di surplus facessero politiche più espansive.
Ci vorrebbe anche un'altra cosa, richiesta da tantissimi economisti, in Italia Emiliano Brancaccio, in Germania Eckhard Hein, ecc., ma posso citarne tantissimi altri, cioè ragionare sul fatto che non si può avere una maggiore integrazione economica europea se non si armonizza prima l'economia reale, e in particolare quello che è il cuore dell’economia reale, cioè il mercato del lavoro. La penultima figura mostra che il paese più produttivo (la Germania) è quello che ha tagliato di più i salari. Occorrerebbe invece che si stabilissero delle regole, che l'Italia si facesse promotrice, laddove potesse, di regole nel mercato del lavoro che garantissero un'evoluzione delle retribuzioni in termini reali, cioè in termini di potere d'acquisto, conforme all’evoluzione della produttività del lavoro. In tal modo i paesi meno produttivi sperimenterebbero certo una minore dinamica salariale, però quelli più produttivi sperimenterebbero una maggiore dinamica salariale (cosa che in Germania non c'è stata). Sperimentando una maggiore dinamica salariale sarebbero in grado di sostenere, attraverso le proprie importazioni, l'economia degli altri paesi, e si potrebbe effettivamente crescere insieme, cosa che adesso è impossibile.

Questo, naturalmente, come dire, vi toglierebbe un po' di lavoro, nel senso che, in quanto commissione finanze, con una maggiore crescita voi sareste in grado di far affluire alle casse dello Stato un maggiore gettito, senza dover imporre ulteriori balzelli alla popolazione che qui vi via inviato a tutelare i propri interessi economici.

Come dicevo, purtroppo, l’Italia non riuscirà a ottenere queste cose, perché se ci potesse riuscire semplicemente non saremmo in crisi, e purtroppo temo che allo stato attuale delle cose, e questa è una valutazione ormai ampiamente condivisa, se anche le ottenesse, queste regole razionali non annullerebbero la necessità di un riallineamento dei cambi nominali fra i paesi dell'eurozona, cioè del ritorno a valute nazionali.

Voglio chiudere, e mi prendo ancora due minuti, per farvi notare un dettaglio riferito all’altro discorso, quello del sistema bancario. Ormai emergono segnali di insofferenza nei riguardi dell'attuale assetto anche da parte dei paesi forti, cioè in particolare della Germania. Questi segnali di insofferenza derivano dal fatto che se fino ad adesso l’Unione Economica e Monetaria è stata un gioco a somma nulla, dove uno vinceva e gli altri perdevano, adesso sta diventando un gioco a somma negativa (come dice Alberto Montero Soler). Credo che tutti sappiate che la situazione della Germania è meno florida di quanto una certa stampa un po' propagandistica spesso ci vuole far credere, e credo che sia da attribuire a questo il fatto che Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, abbia chiesto che nel prossimo stress test sulle banche europee sia imposto il fatto di pesare i titoli del debito pubblico all'attivo con coefficienti che esprimano la rischiosità del paese emittente. Una decisione su questo non è ancora stata presa, Vitor Constâncio mi pare abbia detto che verrà presa a gennaio, ma vi vorrei far riflettere su una cosa: qualora questa decisione venisse presa sarebbe una decisione estremamente grave, perché significherebbe ammettere che i titoli di stato sono rischiosi, cioè significherebbe ammettere che le famose parole di Mario Draghi “we will do whatever it takes to defend the euro, and believe me, it will be enough” (faremo tutto quanto necessario per difendere l’euro, e credetemi, sarà abbastanza) verrebbero in questo modo sconfessate. Il fatto che la Bundesbank abbia voglia di sconfessare in questo momento Draghi, cioè il difensore dell’euro, fermo restando che la Germania non è un monolite come non è un monolite l’Italia (non vi conosco tutti ma so che rappresentate correnti politiche diverse, diversi partiti, diversi orientamenti, e la stessa cosa succede in Germania), segnala che in Germania una parte dell’establishment è stanca di questo gioco e vuole sganciarsi. Siccome in Europa, non per colpa nostra, lei comanda un pochino più di noi, credo che questo ci imponga una riflessione, che deve essere una riflessione sugli scenari futuri più che sulla difesa di un passato che si è dimostrato finora fallimentare.
Vi ringrazio per l'attenzione e sono a vostra disposizione.


(come si dice: fatemi sapere, chiamate voi. Io me ne sto alla finestra, come la mia nonna Quartina affacciata per ore sul corso di Jesi, a osservare lo struscio. Sapete, la gioventù che mira, ed è mirata, e in cor s'allegra? Una tradizione marchigiana, insomma. Lei, però, non era una macroeconomista. Il suo approccio era più micro: da impercettibili indizi - l'abbigliamento, il modo in cui le persone che si incontravano si salutavano, o mancavano di farlo, l'assenza o la presenza a certi orari di alcuni attori di quella variegata Comédie humaine - lei riusciva, tenace, paziente, a risalire la catena delle cause, a distillare una torbida e velenosa sintesi, che invariabilmente si condensava in questa sentenza politicamente scorretta: "Le donne è puttane munto be'...". Ecco, la sua, forse, più che una micro, era una macro microfondata (quella che ormai piace a solo Stagnaro, che non ha letto Kirman). D'altra parte, se lo diceva lei, che in quanto donna, per quanto fuori mercato, era pur sempre in conflitto d'interessi... Ma è delle donne come degli italiani: per ogni donna sul mercato le altre sono zoccole, per ogni italiano gli altri sono improduttivi. Chi avrà ragione? Nessuno, credo. E poi, di quella casa affacciata sul Corso, e del suo ombroso cortile interno, non ricordo solo questo. Ricordo anche le parole della principessa Maria, appese sopra alla macchina da cucire da una persona che aveva molto sofferto, per la più crudele delle sciagure, la più contraria all'ordine naturale delle cose: la morte di un figlio primogenito. Ricordate quelle parole? "Tutto comprendere è tutto perdonare").

(...chi non capisce è piddino!).

(...per il nuovo anno, e prima che queste cose le dicano tutti - cosa che non tarderà ad accadere...)

51 commenti:

  1. e come proposito per il nuovo anno....rileggerò il Libro per la seconda volta in 10 gg. (dopo aver finito anche Anschluss, mi mancano poche pagine).
    In bocca al lupo a tutti noi e auguri, in particolare a lei prof. Bagnai

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  2. Appena ho visto il post ho pensato che anche lei, prof., volesse fare un discorso... :)

    Auguroni a lei e auguroni a tutti i frequentatori del blog. E speriamo che questo 2014 sia migliore dell'anno appena passato (non ci vorrebbe molto in fondo).

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  3. Auguri Prof.! Dai che ce la facciamo.

    Paolo

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  4. Buona occasione per rivedere il video con i figli...
    Auguri e un ringraziamento prof.Bagnai a lei e alla sua famiglia
    Auguri e grazie anche a tutti voi assidui frequentatori del blog per il piacere della condivisione.
    Ci aspetta un 2014 impegnativo! Auguri a tutti noi!

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  5. Sperando che a breve il prof. Bangai intitoli un post "Andiamo a smantellarla", auguri di buon anno a tutti i "legionari" di questa durissima guerra.

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  6. Vabbe', da qualche parte devo pur dirlo, per cui lo dico qui: Felice Anno Nuovo, a lei Profe e a tutti i "gufy-colleghi". O meglio, come dicono quelli del Sud (America), che prammatici sono stati costretti a esserli: Prospero An'o Nuevo.

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  7. Buon Anno Prof e grazie. E un sincero buon anno di Resistenza agli amici del blog. Coraggio.

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  8. Grazie anche di questo professore.
    Un buon anno di cuore. Speriamo arrivi anche il momento di riposarsi.

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  9. Carissimo Professore, trovo encomiabile che la vigilia di Capodanno, alle 20:29, mentre buona parte dei nostri rappresentanti democraticamente eletti sono in 'tutt'altre faccende affaccendati', tra 'nani e ballerine', lei trovi il tempo di scrivere un altro splendido articolo sulle cause della presente crisi. Come italiano, non posso che esserle immensamente grato del suo sforzo, il quale, sono sicuro, durante il nuovo anno che, mentre scrivo dalla piovosa Londra, è già arrivato da 45 minuti, inizierà a dare i suoi frutti: ormai il processo di autocoscienza a cui persone come lei hanno dato inizio non si può più fermare.

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  10. Con questo video di 20 minuti sulla crisi desidero dare il mio umile contributo alla nostra causa:

    http://www.youtube.com/watch?v=xQZhdbyymrU

    Mi piacerebbe che lei, Prof. Bagnai, lo guardasse anche perché il contenuto riflette quello che ho imparato dal suo libro, e da questo blog, negli ultimi 12 mesi.
    Grazie.

    PS: non esiti a comunicarmi eventuali correzioni o suggerimenti
    wendellgee985@gmail.com

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  11. Sempre piacevole ripassare un po' le dinamiche economiche dell' EUROZONA. Avevo già visto il video, ma leggendo con calma ci si può soffermare sui dettagli. Grazie ed AUGURI a tutti.

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  12. Buon anno Prof, alla sua famiglia e a tutti i frequentatori del blog.

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  13. Con la Time Machine, eccoci al Concerto di Inizio Anno, 1 Gennaio 2002, Vienna
    (dal minuto 17.52). Buona Visione! e Buon 2014!
    Nasce L'Euro

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  14. forse c'è un errore, nel terzo paragrafo sotto al grafico dove compara Italia e Corea del sud, scrive:

    "Perché? Perché se facciamo un’unione economica per avere un mercato interno florido, che ci difenda dagli shock esterni, ma ci troviamo poi nella situazione nella quale per difenderci da shock esterni dobbiamo uccidere la domanda interna, come vi ho detto all'inizio, cioè praticare politiche di austerità per promuovere la svalutazione interna. "

    mi pare che manchi la conclusione

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  15. Seconda volta che riuguardo il video, seconda volta che penso "il sospiro di inizio minuto 50 ci stava tutto"... :)

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  16. NO perchè la premessa è che "la svalutazione interna è incompatibile con la logica di un’unione economica". Però è l'unico mezzo per difendersi da shock esterni (nella situazione attuale).

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  17. Auguri, prof. È sempre un grande piacere leggerla, anche se poi di conseguenza litigo con tutti. Del resto anche lei... ;-)
    Sto leggendo anche The fall of the euro di Nordvig, ora, una delle tante letture stimolate da questo blog.

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  18. Minchia,il mio intervento preferito!
    Buon anno a tutti.

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  19. Discorso Napolitano, in aumento gli ascolti in tv con quasi 10 milioni di spettatori

    L’evento mi ricorda un famoso discorso da un balcone in cui un triste leader politico chiedeva agli italiani se fossero stati disposti ad affrontare la guerra e gli italiani risposero, anzi gridarono con convinzione di SI’ !!

    Avanti tutta verso la tempesta perfetta !!

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    1. Io invece lo leggeri in un modo più terra-terra, se 10 milioni di Italiani in più sono rimasti in casa a guardare Napolitano in TV, vuol dire che 10 milioni di Italiani in più non sono usciti a festeggiare perchè non hanno più soldi da spendere per fare bisboccia per capodanno.

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    2. Gent.ma Sig.a Spadini, Le faccio notare che la storiella degli italiani che compatti e tetragoni si avviano lieti e sereni alla guerra è una grossa panzana.
      Duole notare che ci sia ancora gente che ci crede.
      Non credo sia questo il posto dove approfondire l'argomento, non so se il Prof. gradirebbe ed il blog è suo :) ma le lascio un indizio:
      - le "cartoline rosse" di Starace

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  20. Capodanno memorabile col cognato piddino: diceva"siamo in crisi perché ci sono troppe microimprese, non come in germania e via col pennello cinghiale! E tutta mafia e tutta cricca! La prospettiva micro è proprio una microprospettiva! Auguri a tutti!

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  21. Tanti auguri , Professore. La ringrazio per la sua enorme opera di divulgazione che mi ha fatto comprendere il disastro di questo "mostro" chiamato $uro..un umile contributo, sperando corrisponda al vero...intervista a Fassina su Avvenire: "...pronti ad adottare anche il PIANO B." Era ora!!!

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  22. Caro prof.....non se la prenda,son tempi di basso profilo....appena uno si alza in piedi é accusato d'essere un superuomo......già,tutto comprendere é tutto perdonare.....anche il tafazzismo piddiota?
    A proposito,un precedente illustre...."Chi non ha la spada venda il mantello e ne compri una, perché vi dico tutto quel che mi riguarda (l'euro) volge al suo termine"(Lc 22: 36-38)....

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    1. Per favore non associarmi ai piddini che mi offendi, io ho capito e anche bene perche il mio insegnante è bravo, son tafazzi perche dopo che ho capito come mi hanno fregato le balle me le fracasserei con la pala per averglielo lasciato fare.

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  23. Ho deciso di iniziare bene l'anno: con una donazione ad A/simmetrie.

    Buon Anno a tutti e speriamo che il 2014 ci porti un sacco di soldi in valuta nazionale e non più "estera"!

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  24. Dopo aver rivisto l'audizione devo dire che il quadro è arrivato ad essere talmente inequivocabile, le tinte vive e i contorni talmente definiti che solo la malafede può tenere insieme un'analisi alternativa a quella risuonata nell'aula (grigia non sembra, sorda di certo).

    Al netto dell'aspettativa rivoluzionaria, marxista ortodossa o anarchista sindacale che sia, (rientrante nella categoria dei sogni, invero molto borghesi, che non costano nulla fintanto che il prezzo lo pagano gli altri...) che vede nell'euro l'acceleratore della fine del capitalismo e qualunque accordo con il capitale un modo per salvarlo dalla sua naturale implosione (il che farebbe del prof un restauratore borghese), non è più tempo di mezze verità e posizionamenti tattici: restringendo il discorso al campo parlamentare, più che una "lezione" agli onorevoli, come è parsa a qualcuno, sembrava un consiglio per la salute (la loro...). "Oh, io ve l'ho detto, poi fate voi... quando la passione prevarrà sulla ragione non venite a chiederci di tirarvi giù dai lampioni su cui i vostri ex elettori vi avranno costretto!".

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  25. A proposito di audizioni (e di verità) vorrei segnalare quella del settembre scorso in Commissione Bilancio, dove il compagno Olli Rehn riferiva circa le definitive modalità con cui i governi e i parlamenti nazionali si devono coordinare con le strutture della Commissione al fine di ottemperare agli innumerevoli trattati, direttive e regolamenti entrati man mano in vigore negli ultimi due anni, a partire dal six-pack per terminare con il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (il cui Titolo III è noto come Fiscal compact).

    Di sfuggita anche sui "Partnerships for Growth, Jobs and Competitiveness", come sono stati ridenominati all'ultimo Consiglio Europeo gli accordi contrattuali da stipulare tra stati membri e Commissione (prestiti in cambio di riformestrutturali, ovvero "come ti presto la troika e poi muori") accantonati fino al prossimo giugno. Inutile dire che il PD, si è reso subito disponibile - a metterci a 90°.

    Ma la chicca è stata la paciosa domanda/considerazione rivolta a Rehn dall'ex capo economista di Confindustria Giampaolo Galli, oggi parlamentare PD (dal minuto 23). Dopo la rituale penitenziagite sul debito pubblico riassumeva l'analisi sulle divergenze di competitività ampliatesi negli anni dell'euro tra paesi core e periferici: tralasciando eufemismi come "andamento molto moderato dei salari in Germania" causato dalle loro riformestrutturali ("di cui abbiamo comunque bisogno", sia mai!) o "ridurre le dinamiche salariali" (sic), faceva notare come il divario ("nell'ordine del 15-20% in termini di CLUP") abbia poco a che vedere con differenziali di crescita di produttività, quanto con differenziali di crescita dei salari orari in Germania. E calava la bomba di Phillips: domandava a Olli Rehn se ritenesse sostenibile recuperare competitività svalutando i salari attraverso una perdurante disoccupazione nei paesi periferici.

    "Come si esce da questo grande shock asimmetrico che ha colpito l'Unione Europea e che ci sta mettendo in grandissima difficoltà?" Diccelo tu Galli, che ti hanno eletto (?) per questo. Forse forse uscendo dall'euro? Eh già, ma poi la lobby degli importatori amici vostri (come insinuato da quel sobillatore berlusconiano del Borghi) senza l'euro forte teme di veder calare i profitti! Per non parlare degli interessi delle Coop rosse e Compagnia delle opere, i cui interessi non sono mai stati così ben tutelati come dall'attuale governo "di unità nazionale". La difesa del potere d'acquisto...

    Infine un Boccia vergognoso attaccava la parlamentare Carinelli del M5S (la quale si diceva preoccupata dal fatto che parlare di rischi di stabilità politica in Italia, tali da compromettere la riduzione del debito pubblico, potesse ledere il ruolo sovrano del parlamento e dell'opposizione e chiedeva di iniziare a dibattere di uscita dall'euro) ricordando come l'Italia sia impegnata nella riduzione del debito ("priorità") e che non ci possono essere dubbi interpretativi riguardo le parole del compagno Olli; non si sa a che titolo, rincarava la dose facendo notare come essendo il tema dell'audizione "Verso una Unione ... autentica e approfondita", porre all'attenzione dell'augusto Olli l'exit strategy dall'eurozona fosse del tutto fuori luogo, dimostrando una volta di più la pervicacia con cui il PD nega ogni possibilità di dibattere sull'euro, addirittura nelle sedi istituzionali proprie.

    Rehn coglieva l'occasione offerta dal Boccia glissando, salvo ripetere le solite fole sull'austerità espansiva e la necessità delle riformestrutturali (e quindi rispondendo implicitamente a Galli: sì, avanti così con la disoccupazione e la deflazione). Criminali.

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    1. Grazie della preziosa e interessante segnalazione.

      Sono sconvolto.
      Si parla di uno "strumento di convergenza e competitività", che dovrebbe costituire un nuovo tipo di "vincolo esterno" a cui si dovrebbero attenere i governi degli stati della UE.
      L'idea di fondo, se ho capito bene, è di irrigidire la contrattazione bilaterale fra "centro" e "periferia" europea in termini ancora più crudi: "coordinamento ex-ante delle riforme strutturali", ossia soldi in prestito a fronte di riforme a largo impatto sociale (anche le più dolorose, ovviamente).
      Quindi, i periferici hanno perso la guerra e ognuno deve negoziare il suo armistizio con il centro vincente.
      Altro che Unione Europea e Inno alla Gioia (Ricordate?: "Seid umschlungen, Millionen!" ---> Abbracciatevi, moltitudini! ) !
      Ma la cosa più sconvolgente è il ruolo che Rehn, in tutto ciò, assegna al Parlamento Europeo, che è l'unico organismo UE eletto a suffragio popolare.
      A fronte delle perplessità, molto serie, di ordine giuridico-politico riportate da Boccia (ascoltate il filmato della WebTV della Camera citato sopra da Riccardo a partire da 00:40:00 fino a 00:44:00), Rehn risponde che il compito del Parlamento Europeo è, in pratica, di costituire l'autodafè (il luogo di giudizio, il tribunale politico) dei Paesi che "sgarrano" (ascoltate la risposta di Rehn da 01:08:00 a 01:09:40).

      Di questo nuovo "fognetto", lo "strumento di convergenza e competitività" (nuovo fratellino del MES, del Fiscal Compact, del Six-Pack, ecc.), non si parla nelle nostre tribune politiche, ma mi sembra ancora più pericoloso dei suoi antecedenti, per l'aspetto di contrattazione bilaterale (che causerà nuove disuguaglianze nell'Unione) e per l'apparente impostazione "a preventivo" (prima fare riforma - poi vedere denaro) che, se ho capito bene, si differenzia dall'impostazione "a obiettivi" dei fognetti già in atto.
      Con ciò, dunque, gli ultimi brandelli di sovranità nazionale sarebbero distrutti.
      Mentre, quindi, ci intratteniamo allegramente con prove di cuochi, terre di fuochi, tasse sui giochi, profumi e balòchi, c'è chi ci sta usando come ingredienti per un'imbandigione sopraffina all'Euro-Restaurant. Devono solo perfezionare la ricetta, cioè scrivere le regole di cottura dell'ultimo fognetto...
      ****
      Addendum:
      A parte ogni altra considerazione, ma perché mai dovremmo convergere "competendo" ?
      Perché c'è una gara continua ?
      Chi è l'avversario: gli USA, la Ciiiiiiiiiina, la Corea del Sud, il Giappone ?
      Loro lo "sanno" che vogliamo gareggiare continuamente, e tutti legati e "convertiti" insieme ?
      Ma perché non guardiamo DENTRO i confini UE e combattiamo i mali persistenti che stanno uccidendo l'Unione (divaricazioni divergenti dei redditi, spopolamento e calo demografico, distruzione della domanda, distruzione di tessuti produttivi, distruzione dei posti di lavoro, distruzione del welfare, distruzione di civiltà) ?
      A che serve un Parlamento Europeo se non può legiferare su questo e imporre lui vincoli alla Commissione ?
      Bastano queste considerazioni a mettere in piedi un programma elettorale "de sinistra" prima delle Elezioni Europee del 25 maggio prossimo ?

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  26. Gentile prof. Bagnai, possiamo azzardare delle tempistiche? Se passasse la proposta Weidmann o comunque quando sarà chiaro a tutti che quella di Draghi sul faremo tutto il necessario ecc. è una balla, avverrà un massiccio spostamento di capitali dai titoli italiani a quelli esteri (soprattutto tedeschi credo). Basterà questo a dimostrare che Monti e seguenti hanno solo posticipato il problema? Grazie mille per il lavoro che svolge

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  27. Mentre attendiamo che gli euro-entusiasti riprendano conoscenza, riporto qui di seguito un estratto del Programma di lavoro della Commissione per il 2014 (pag. 3):

    «Nei primi mesi del 2014 il Parlamento europeo e il Consiglio dovranno mirare soprattutto a
    concludere i negoziati su una serie di proposte in corso atte a stimolare la crescita e
    l'occupazione. A tal fine la Commissione collaborerà intensamente con entrambi i legislatori
    in modo da condurre in porto i negoziati prima delle elezioni del Parlamento europeo.
    [...]
    Occorrerà poi dare attuazione al denso pacchetto di testi fin qui approvato.
    [...]
    Nel 2014 la Commissione continuerà a portare avanti i principali processi alla base
    dell'attuale modus operandi dell'Unione:
    • promuovendo gli obiettivi della strategia Europa 2020 nel quadro del semestre
    europeo per il coordinamento delle politiche economiche;
    • consolidando i risultati ottenuti sul fronte della governance economica;
    [...]
    • continuando a realizzare il pacchetto allargamento e la politica europea di vicinato per
    il 2014».

    In parole povere la Commissione intima a Parlamento e Consiglio di approvare alla svelta quanto da essa “suggerito”, ovvero un pacchetto di norme a base di aria fritta che rinvia al 2020 il conseguimento degli obiettivi che sinora ha fallito clamorosamente uno dopo l'altro, e che non raggiungerà nemmeno nel 2020, dal momento che i burocrati della commissione pretendono di realizzarli “consolidando i risultati ottenuti sul fronte della governance economica” - che poi sarebbero quelli che hanno infiammato le piazze di mezza Europa dal 2010 ad oggi. Tanto più che dopo aver infierito sugli europei del sud a suon di tasse, tagli ai servizi e privatizzazioni a vanvera per ripagare le banche nordiche senza riuscirvi del tutto, gli euro-burocrati avevano pensato di ripetere il giochetto con le repubbliche ex-sovietiche. Che, però, proprio in virtù della loro condizione di paesi ex-sovietici hanno smesso di credere da un bel po' alle mirabolanti promesse provenienti dal mirifico occidente, e men che meno credono a quelle dell'Ue.
    Cosicché il “pacchetto allargamento” è da intendersi come pura propaganda, e nemmeno della più scaltra, visto che sinora è riuscito ad attrarre nella trappola solo Slovenia, Slovacchia, Estonia e Lettonia, mentre l'Ucraina si è velocemente smarcata a seguito dell'irrinunciabile offerta di Putin basata su un sostanzioso sostegno economico e in prospettiva di un ampliamento delle relazioni commerciali con Mosca.

    Questo perché, secondo l'analista geopolitico William Engdahl, «in questo momento l'Ue è una sorta di spirale di morte con il falso costrutto dell'EZ [e i leader politici] dovrebbero concentrarsi sulla costruzione di rapporti più forti con l'Oriente. Perché il futuro dell'Europa, dell'Europa occidentale, [...] a mio avviso sta nell'Eurasia
    [...]
    Se si parla con i polacchi, gli ungheresi, con molti dei paesi che hanno aderito all'UE, e anche aderito all'euro ci si rende conto che era uno spettacolo dell'orrore. Ha distrutto la loro industria nazionale. L'Ue è una costruzione di multinazionali mondiali e le multinazionali globali vogliono cogliere fior da fiore ciò che gli serve dell'economia ucraina, che dispone di risorse preziose».

    L'aspetto divertente a margine del patetico tentativo di Bruxelles di invischiare l'Ucraina nelle beghe tedesche è che il Times di Londra ha eletto Putin “uomo dell'anno” perché, «Oltre alla sua fondamentale vittoria diplomatica in Siria, uno dei più grandi successi del Presidente Putin nel 2013 è venuto quando ha "messo a terra l'UE sulla questione Ucraina"».
    Possono permettersi, gli inglesi, di prendere per i fondelli noi euro-beoti: loro mica ci sono entrati nell'€.


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  28. Bel discorso, veramente.

    Una delle critiche più sciocche che sento spesso è: stampare moneta non serve a niente, conta l'innovazione, il genio, la produttività, gli investimenti. Ma poi sento anche: le imprese hanno bisogno di credito, questo è uno dei principali problemi attualmente.

    Secondo voi, le due frasi sono compatibili?

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  29. Carissimo Professore,
    molto spesso stampo i suoi post per potermeli rileggere con calma e sottolineare le parti che trovo più interessanti. Questa volta alla fine mi sono accorto che erano più i punti sottolineati che il resto.
    Ancora complimenti per la chiarezza e semplicità nello spiegare questi argomenti...
    Alla faccia di chi afferma che noi non possiamo capire, sono cose troppo difficili.
    Auguri di Buon Anno a Lei e Famiglia.

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  30. Montesilvano (Pescara), 26-27 ottobre 2013: secondo compleanno.
    Bruxelles, Parlamento Europeo (Gruppo EFD), 3 dicembre 2013.
    Roma, Camera dei Deputati (Commissione Finanze), 4 dicembre 2013.
    Roma, Tempio di Adriano, 7 dicembre 2013.

    Un tour de force che ricorderemo e di cui dobbiamo esserLe grati per sempre, a partire da adesso e più ancora quando LA SVOLTA sarà compiuta.

    Vorrei darLe un'idea degli effetti "indotti" della Sua opera, al di là di ciò che appare dagli interventi in questo blog.

    Tornato a casa dopo aver partecipato, fra il pubblico, al convegno di Roma del 7 dicembre (in cui ho avuto il piacere di stringerLe la mano), dalle 15:30, mentre pranzavo, ho spiegato "di slancio" a mia madre, pensionata di 78 anni, i contenuti principali delle Sue tesi e dell'impianto "no-euro".
    Arrivati al caffè, dopo due ore, mia madre non temeva più per la "tenuta" dei suoi BTP trentennali ("Quelli nun se devono toccà: so' pe' er funerale!"), trovava normale che chi avesse comprato i bond del debito italiano a scopo speculativo (quindi, l'alta finanza) ci potesse anche rimettere a causa di un cambio flessibile ("Embè? E' come co' le azzioni! Se sale e se scende! Sennò 'ndo sta' la bravura de' sti ricconi?"), e aveva anche un consiglio per Lei ("Dìje ar Professore che se deve 'ncazzà deppiù!"), avendo visto il Suo aplomb imperturbabile nei Suoi interventi televisivi.

    Quindi, la sensibilizzazione alla Causa per osmosi parentale, che credo durante queste feste abbia subìto un'impennata, Le sia motivo di conforto per i Suoi grandi sforzi divulgativi e l'enorme mole di lavoro che compie.

    Dunque, ancora auguri da parte degli "entourages" familiari che ho avuto modo di convertire (o almeno, sensibilizzare) grazie alle Sue argomentazioni.

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  31. @istwine
    oh, la risposta l'avrai.. ihihihihi
    cmq sia, 'sta gente che mentre parla filosofeggiando il nulla e ruotando le mani ha poco da dire visto che in molti casi non hanno inventato nulla e ovviamente come per i culi dei froci, sano far bene i conti (sic) con i portafogli altrui (oltre al fatto che sanno innovare con il cervello degli altri).

    sul credito.. oh, ma sai che anni fa vedevo tutti i bilanci pieni di debiti bancari che non sarebbero mai stati ripagati?

    PS: spiegagli che le dinamiche macroeconomiche dell'euro spiegano la mancanza di investimenti e di credito.. ahahahahahah so' de coccio

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  32. Se lo dice anche <a href="http://it.wikipedia.org/wiki/George_Soros>lui</a> non sarà il caso il confessare finalmente?

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  33. "Non possiamo consegnare l'Italia ai populisti antieuropeisti".......(parole e musica di Stefano Fassina!)
    Io capisco che bisogna cercare una sponda nel PD, ma francamente chi scrive una cosa del genere sul Corriere della Sera (pur avendo prima premesso che stiamo su un Titanic che si sta per schiantare e che questa retorica europea è insostenibile), mi spiace ma ha tutto il mio disprezzo.........

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    1. D'accordo incazzarsi, ma io davvero invidio la vostra continua capacità di sorprendervi. Sì, mentono. Sì sono brutti e cattivi e persistono a prendere per il culo i loro elettori: sai che novità, altrimenti perché mai loro sarebbero ancora lì a mentire e noi ancora qui a farlo notare? La comunicazione.

      Sebbene la quantità non faccia la democrazia, in Italia si vota ogni sei mesi l'unica cosa che conta nel PD (solo nel PD?) è "vincere": le elezioni del condominio se necessario, ma vincere. Sono drogati del bisogno di vittoria così i loro utili Pdini. Come non è importante, per fare cosa non è importante, per andare dove non è importante. Vincere, E VINCEREMO. Ecco, questo è importante (soprattutto per capire perché perdono sempre senza mai ammetterlo...).

      Detto questo, se non capiamo che quest'anno la lotta sarà durissima è meglio lasciar perdere, visto che il tema dell'euro sta solo ora entrando prepotentemente nel dibattito partitico-elettorale (e quindi mediatico al seguito, perché ve lo hanno detto anche giornalisti pensanti: noi seguiamo, siamo cani da compagnia, da guerra quando serve, da introduzione degli ospiti, perché la cronaca, il flusso delle notizie, l'agenda setting, gli editori, lei non sa come si vende un giornale, e gli ascolti, la pubblicità è l'anima del contratto... tutti dati di fatto, per carità, sarà anche per questo che il giornalismo italiano è lo specchio della nostra democrazia. Ma la verità è che la pretesa oggettività di una notizia è una panzana che soltanto chi non capisce nulla di informazione e formazione del senso comune può bersi).

      Credete forse che i loro uffici stampa e spin doctors aspettino un mese prima di giugno per "fare campagna"? Gli schieramenti e le rispettive propagande le stanno preparando da un minuto dopo le elezioni politiche di febbraio. Poco importa che si voti anche alle politiche o solo alle europee: da qui in avanti si tratterà di come i partiti si posizioneranno sul campo da gioco, e stante la loro reale capacità di manovra nell'ordine del mezzo punto di Pil (e questo ormai non possono più nasconderlo), giocheranno tutto sui valori e sul cosiddetto "richiamo della foresta", con Napolitano a fare da arbitro (ecco...). Athens is calling.

      I temi dell'euro e del vincolo esterno della subordinazione alle tecnostrutture della troika, saranno strappati di forza da queste pagine, saranno violentati, manipolati (forse e soprattutto da chi dirà di voler fare la cosa giusta - pur essendo per molti di noi, rispettivamente, la persona sbagliata), saranno mediati sotto par condicio nei peggiori talk di Caracas e diventeranno, anche quando prevarrà l'aderenza ai dati fattuali, accessori identitari da apporre sulla giacca. A questo bisogna essere preparati.

      Nell'analisi politico-mediatica, sulla verità accurata sulle cause, sulle correlazioni tra euro e crisi che qui sono state sviscerate come in nessun altro luogo, sentiremo dire le peggiori oscenità, menzogne che andranno a vantaggio dell'una come dell'altra parte, al cui confronto i dibattiti che abbiamo sentito finora sembreranno quelli di un circolo letterario. La loro difficoltà oggi è che un numero sempre crescente di italiani non crede più alla loro democrazia rappresentativa (e se devo essere sincero, neppure io).

      Insomma, sarà la solita, balorda, corrida curvaiola a cui assistiamo ininterrottamente da vent'anni: uno schema a cui gli italiani sono stati culturalmente preparati, attraverso i media, già prima dell'entrata nell'era del bipolarismo oligarchico, leaderistico e anticostituzionale (necessario per Maastricht prima e per l'euro poi), e su cui sono tarate le narrazioni dei partiti italiani.

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    2. E' cosi. Senza voti non si governa, per avere i voti devi presentarti bene e denigrare gli avversari con ogni mezzo. La politica in Italia si fa così, con la tv del baccano e degli slogan; ci si può incazzare, vergognare. è ammesso persino un lieve stupore, ma per ora è cosi. Prendiamone atto.
      Ma prendiamo atto anche che qui, dove si tenta, anzi, SI FA' un' approfondita analisi del problema il traffico e le visite aumentano in quantità e di qualità. C'è speranza, poca ma c'è.

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    3. Prendiamone atto, che, per esser chiari, è solo il punto di partenza. Siamo nel deserto purtroppo, e nel deserto aspettare di veder crescere frutti è futile quanto seminarci dentro. Infatti cosa stiamo aspettando, dopotutto? Che "i mercati chiamino", come sempre...

      L'atto iniziale è poter credere, e dare agli altri la possibilità di credere, che il deserto è tale solo perché lo permettiamo, che cambiare stato (non Stato) è possibile solo dicendo la verità (o quell'approssimazione di realtà colta con strumenti umani in grado di reggere a una verifica fattuale), che una democrazia è una democrazia, e un golpe è un golpe: questo per me è progresso! La domanda c'è e ci sarà sempre, così come i fallimenti (?) del mercato nel corrisponderle una offerta proporzionata.

      In fondo credere che non esistano alternative è solo una illusione spacciata per dogma dai vincitori di turno.

      PS_Se troverete qualcosa di simile ai suddetti periodi in una prossima pubblicità di qualche noto marchio spero capiate cosa intendevo dire...

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  34. Ciao Alberto, sto leggendo il tuo libro "il tramonto dell'Euro", sono all'inizio ma già mi piace parecchio. Voglio farti un domanda semplice semplice, e non ho bisogno di una risposta particolarmente articolata. Continui a ripetere la frase "è strano come una salita vista dal basso somigli a una discesa", e a proposito di questo volevo chiederti: se la crisi economica del 2008 ha rovinato il bilancio di famiglie, banche e stati, chi è che ci ha guadagnato ????

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    1. Ecco... tu devi essere uno di quelli che quando il Tg dice "oggi bruciati in borsa 10 miliardi" pensano a un falò. Grazie per i complimenti, e make an educated guess...

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  35. Make an educated guess, OK. La mia ipotesi è:
    - non ci ha guadagnato nessuno, perchè i derivati dei mutui sub-prime che erano considerati di grande valore(basso rischio) si sono rivelati improvvisamente cartastraccia. Quindi semplificando al massimo, e spero di avere una visione più dettagliata quando finirò il tuo libro, si è commerciato per anni con strumenti che avevano un valore, e che dopo lo scoppio della crisi non ne avevano più. E come se in un sistema facessimo sparire dei soldi, PUF, nel nulla. Anche se dovresti rispondermi con "SI", "NO", "NI", "FUOCHINO", te ne sarei molto grato.

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  36. Auguri Professore! Non smetterò mai di ringraziarla.

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  37. una domanda: la tesi di Fernandez-Villaverde è ancora valida per un paese,come l'Italia,che invece le riforme le ha fatte?

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    1. Mi perdoni: quella che lei chiama "tesi", e che è un articolo pubblicato su una delle più importanti riviste scientifiche, non viene smentita in nulla dalla vicenda italiana! Anche ammettendo che le riforme (?) fossero necessarie (?), è del tutto evidente che se sono state fatte (?) lo sono state in enorme ritardo. Visto che in Italia la produttività si arresta nel 1997 (casualmente, quando alcune riforme iniziano...). magari avremmo dovuto cominciare nel 1998! Invece, visto che se riforme son state fatte, nell'ottica di chi la pensa come il dottor Giannino, questo è accaduto a partire dal 2011 (cioè da Monti), mi sembra assolutamente evidente che anche all'interno del sistema di valori gianniniano-renziano che mi pare di intuire lei condivida l'accesso al credito facile garantito dall'euro è stato una cosa che ha permesso di posporre le riforme di circa 13 anni, che è esattamente l'argomento di Fernandez-Villaverde et al, argomento che si trova quindi del tutto confermato nel caso italiano (se si capisce cosa intendono dire).

      Il mio punto di vista è ovviamente diverso, perché ritengo che fossero altre le riforme da fare ecc. Ma gli argomenti vanno valutati per quello che dicono (non per quello che si crede dicano) e, a livello scientifico, con riferimento al sistema di ipotesi nel quale vengono svolti (cioè che le "riforme" siano buone, e che schiacciare i salari sia cosa giusta, perché la disoccupazione, se c'è, è solo volontaria). Poi ci sono altri livelli di analisi.

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