mercoledì 15 maggio 2024

Nichilismo e pensioni

(...oggi ho spiegato su Facebook un paio di cose su come funziona "er monno", a beneficio dei tanti amici - del PD - che ci soccorrono coi loro consigli disinteressati:


"Er monno de #aaaaabolidiga" funziona come tutti gli altri mondi, come tutte le altre esperienze di vita sociale: ci sono fasi, e ci sono ruoli. Quello che vedete "da fuori" è la declinazione di questa semplice verità, alla portata di tutti voi, perché ognuno di voi ha una vita sociale, che attraversa fasi, e in cui riveste ruoli, che mutano con le fasi. Ad esempio, in una fase come questa, in cui la principale emergenza è senz'altro quella democratica, è del tutto naturale che per conquistare consenso si coinvolga chi ha saputo porre questo tema all'attenzione di tutti con un libro che nei fatti è una difesa appassionata e lucida del diritto di esprimere il proprio pensiero. Quando l'emergenza era quella economica, cinque anni dopo che la mannaia dell'austerità era calata amputandoci la crescita, incombeva agli economisti il compito di esporsi al fronte, era quello il loro ruolo. Ora la fase è cambiata. I "mercati" (sarebbe meglio dire: i mercanti) non ci hanno ucciso, seguire i loro consigli ci ha debilitato, come ampiamente previsto qui, ma agli altri sta andando peggio e non siamo sotto attacco. La minaccia più imminente deriva oggi dal fatto che dopo il suo infame tradimento, quello con cui ha consegnato ai mercanti i suoi elettori, perché venissero stritolati da queste politiche:


(ricordo che le parole sono di Draghi) la sinistra ovviamente non trova spazi argomentativi al di fuori della delegittimazione e della tacitazione in qualsiasi modo e al costo di qualsiasi violenza dei suoi interlocutori. Tutte cose che qui abbiamo già visto e subito, come ricorderete. Ma la stessa perdita di freni inibitori che porta la sinistra a parlare liberamente di guerra (santa, va da sé) la porta a non distanziarsi da atti di squadrismo sempre più violenti: non dobbiamo farci illusioni, nessuno scenario va escluso, in nome del Leuropa o de Ilclima immagino che qualcuno possa senza troppe remore giustificare o propugnare perfino la lotta armata, se il buongiorno si vede dal mattino, e allora forse è opportuno che l'attenzione non dico passi, ma si allarghi anche a questi temi di libertà, che qui sono sempre stati centrali, ma trattati in una chiave volutamente elitaria (li grafichi, 'e tabbelle, ricordate? Tutte quelle cose che gli amici - del PD, come poi s'è capito - mi dicevano di non mettere, altrimenti il mio discorso non sarebbe stato coinvolgente...).

Altro esempio: oggi, come dieci anni or sono, sarà Claudio il nostro candidato, e come dieci anni or sono oggi ripeterei e ripeterò la mia stessa identica dichiarazione di voto di dieci anni fa, che, al rileggerla, mi sembra non abbia poi perso freschezza. Certo: alcune cose sono cambiate, è sufficientemente ovvio. In particolare, sono ritornato sulla mia scelta di non impegnarmi in un ruolo politico, nonostante che sia ancora del tutto sottoscrivibile il fatto che in Italia ci sia, cioè ci sarebbe, bisogno di una voce autorevole, ma indipendente e terza. Alla terzietà ho rinunciato: ho barattato un po' dell'autorevolezza che mi derivava dal non essere parte in causa con una quantità insospettata di conoscenza del funzionamento della macchina. Alla fine lo scambio è stato vantaggioso, e ora il mio ruolo non è più quello di alfiere, ma di uomo macchina, e a quel ruolo mi dedico, con disciplina e abnegazione, contro le previsioni di chi, imputandomi un narcisismo irredimibile, pronosticava una mia inguaribile incapacità di stare al posto mio. L'alfiere ancora oggi è Claudio, e la scelta di questo ruolo, che Claudio sta assolvendo con la consueta abnegazione e genialità (guardate ad esempio #ilComunepiùBorghidItalia:


scaturisce anch'essa dai ruoli che la squadra ci ha assegnato. Da Presidente di una bicamerale delicata era più opportuno che mantenessi un profilo "basso", perché questo mi consente di intervenire in modo sufficientemente chiaro nelle sedi istituzionali senza che mi venga contestato il movente di una facile cattura del consenso:


e così al fronte la community schiera Claudio. Ognuno di noi si impegna in squadra nel ruolo - visibile o non visibile - che chi ci coordina ci attribuisce. La nostra forza è questa, e le accozzaglie di fetecchie narcisiste che si propongono come alternativa "pura e dura" semplicemente mancano di massa per essere una squadra e di capacità critica per agire come squadra. La soddisfazione di portare quello che ogni giorno porto alla causa mi compensa dalla frustrazione di non potermi intrattenere più a lungo con voi o di non poter girare a raccogliere applausi in giro per l'Italia - soddisfazione che peraltro con l'intento di sostenere i candidati mi sto comunque concedendo:


(con l'occasione vi segnalo la necessità di iscrivervi al canale dell'Insorto: Fausto è tornato, l'ho preso nella mia segreteria, perché le squadre funzionano così: no man left behind!m mi sta aiutando, e voi aiutatelo con sottoscrizione e campanellina...).

Il post che volevo scrivervi oggi riguarda proprio il mio ruolo in Commissione Enti Gestori, dove domani avremo il piacere di ricevere Assogestioni che ci parlerà di previdenza complementare. Ma per arrivare al punto devo partire da un po' lontano...)



Un'amica cui tengo molto mi ha segnalato questo evento:

sollecitandomi in particolare ad ascoltare l'intervento di Giorgio Matteucci, che inizia attorno al minuto 40 del video. Le cose da dire sarebbero molte, e molte ne diremo nel prossimo evento che a/simmetrie sta organizzando per il 10 luglio (con De Martin, Frezza, Tafani, e appunto anche Matteucci). Il punto che mi ha colpito di più, del quale secondo me nemmeno l'autore ha colto pienamente la verità e la pregnanza, è quello in cui l'autore evidenzia come la perenne ansia impostaci dalla "governance" sovranazionale di inseguire un futuro che non c'è si traduca in un sostanziale nichilismo, nella negazione del valore del presente, che viene visto non nella sua attualità di momento in cui concretamente si realizza la nostra esistenza, ma solo nella sua potenzialità di momento preparatorio di un futuro "migliore", che sarà il vero tempo in cui varrà la pena vivere, salvo scoprire, una volta arrivatici, che esso è un altro presente da negare in funzione di un ulteriore futuro.

Questa è la retorica del mondo dell'istruzione ("formare a professioni che non ci sono ancora..."), ma questa è, in generale, la retorica della sinistra, del progressismo, che, come vi dicevo ieri, è passato dalla negazione del passato in nome del "mai più" (come abbiamo imparato da Michéa), dalla proiezione verso il futuro visto come necessariamente, ontologicamente migliore del presente (il "progressismo" è innanzitutto questa visione rettilinea della storia), a una ulteriore radicalizzazione: non più la negazione del passato perché il futuro sarà migliore, ma la negazione del presente affinché il futuro sia migliore!

C'è una logica in questo: la visione rettilinea della storia non va più tanto di moda. Non tutti sono esperti di cointegrazione, ma sul fatto che rispetto ai "trenta gloriosi" abbiamo perso terreno chi c'era non ha dubbi! Il fallimento del nostro presente si ritorce contro chi in passato ce l'aveva indicato come un radioso futuro, illuminato dal sol dell'avvenire, e l'ovvia ritorsione qual è? Ovviamente quella di dire che se il futuro di ieri, cioè il presente di oggi, non ha mantenuto le promesse sinistre, la colpa è nostra: non ci siamo abbastanza sacrificati nel passato (cioè nel presente di ieri) e non ci stiamo sacrificando abbastanza oggi (cioè nel passato di domani) per poter aspirare a quello che non ci siamo meritati: un futuro di ieri, cioè un presente, decente, e che non ci meriteremo: un futuro di oggi, cioè un domani, migliore.

La sinistra sposa così non solo come tributo, come guidrigildo del pactum sceleris che la lega al grande capitale internazionale, ma come strumento dialettico che le apra uno spiraglio di sopravvivenza, la logica paternalista dei "sacrifici" che un tempo imputava all'odiato "neoliberismo". Come si cambia, non "per non morire", ma durante la putrefazione...

Ora, il problema di questa retorica futurologa, di questo nichilismo antiumano e antiumanistico (non solo perché nec minimum credula postero, ma anche perché le "professioni del futuro" sono ovviamente la dittatura delle STEM), è che non funziona. Il 10 luglio vedremo meglio perché non funziona nel campo dell'istruzione (nell'intervento di Matteucci c'è già molto), e qui mi limito a ricordare perché non funziona in ambito economico.

Pensare di risanare i conti di un Paese con l'austerità è esattamente come pensare di inventare un'ascensore mettendo i piedi dentro a un secchio e tirandone su il manico. Se si insiste non solo si resta dove si è, ma ci si fa del male. La distruzione di Pil, necessaria (come dice sopra Draghi) per recuperare competitività, è però nociva per il risanamento dei conti di qualsiasi operatore pubblico o privato. Lo abbiamo visto:

1) qui con riferimento al rapporto debito/Pil (aumentato);

2) qui con riferimento al primo pilastro previdenziale (messo in oggettiva difficoltà dal calo del gettito contributivo indotto dal mix di disoccupazione e taglio delle retribuzioni);

e oggi, lellero lellero, arriva Panorama a dirci quello che, in qualche modo, ci dirà domani anche Assogestioni (e che ieri pomeriggio mi avevano detto in un incontro privato ma non riservato i rappresentanti di AEPI e Ancot):


Ma tu guarda! Ci informa compunto Panorama che se un giovano ha un salario di ingresso di 1600 euro e vive a Milano gli risulta complesso accantonare almeno 160 euro al mese per costruirsi una seconda pensione integrativa. La dottoressa Grazia Arcazzo, economista di rango internazionale (insegna a Princeton) e massima esperta mondiale di sistemi pensionistici, saprebbe spiegarci con dovizia di dettagli tecnici le ragioni di questa difficoltà, per la quale qui mi affido alla vostra intuizione.

Aggiungerei che se un autonomo deve versare dei minimi contributivi attorno ai 4000 euro l'anno (e a salire) per assicurarsi la pensione obbligatoria, ci sta anche che non riesca ad accantonare per la facoltativa.

Ve la metto giù piatta: l'idea che per avere uno stipendio decente bisognasse averne due ce l'hanno fatta digerire presentandocela sotto le nobili vesti della lecita aspirazione di tutti all'indipendenza economica e all'emancipazione. Scopo nobile, che però avrebbe comportato, una volta raggiunto, che in famiglia si guadagnasse il doppio: invece, se va bene, il tenore di vita che si riesce a permettere lavorando in due è più o meno quello che si aveva quarant'anni fa con un solo stipendio, o almeno questa è la percezione (in termini di capacità di risparmio, di tempo libero disponibile, ecc.; qui ci sono anche tante variabili sociologiche da considerare, ma insomma accontentiamoci anche qui della percezione).

L'idea che per avere una pensione decente bisognasse averne due è stata invece condita con la retorica dei sacrifici e con una narrazione truffaldina di cosa fosse il "contributivo": non un sistema (a capitalizzazione), ma un metodo di calcolo il cui scopo era quello di abbattere il tasso di sostituzione (il rapporto fra prima pensione e ultimo stipendio), rendendo così necessario ricorrere al "secondo pilastro", da finanziare con quello che resta di uno stipendio sempre più striminzito (perché "we have pursued a deliberate strategy of trying to lower wage costs") al netto di una contribuzione obbligatoria sempre più onerosa (perché il taglio dei salari ha ridotto l'ammontare dei contributi e quindi si devono innalzare le aliquote contributive nel tentativo di riportare il montante al livello precedente).

Un avvitamento senza fine verso un abisso di miseria e disperazione che nasce dall'ignoranza: l'ignoranza delle frazioni improprie, come spiegato qui.

Non solo l'austerità, distruggendo gli investimenti, ha distrutto la crescita. Non solo l'austerità, distruggendo la crescita, ha fatto aumentare il rapporto debito/Pil. Non solo l'austerità, abbattendo salari e pensioni, ha ridotto il gettito fiscale e contributivo compromettendo la sostenibilità delle pensioni obbligatorie future. Ma ha anche impedito lo sviluppo di quei fondi pensione, di quelle pensioni complementari a capitalizzazione, che nei sistemi finanziari progrediti cui in teoria certi "tecnici" aspirerebbero a traghettare il Paese, sono il motore di crescita dei mercati finanziari e quindi, secondo loro, dello sviluppo del Paese.

Il discorso di morte dei Draghi, dei Monti, del PD, è lugubremente contraddittorio: se volessero quello che dicono e dicevano di volere è del tutto ovvio, come lo era allora, che non avrebbero mai dovuto fare quello che allora ci dicevano fosse necessario, e oggi ci confessano essere stato dannoso.

Ma questi "errori" tecnici, che errori, come sapete, non sono, ma strategie deliberate di redistribuzione del reddito dai piccoli ai grandi, non sarebbero stati accettati, o almeno non sarebbero passati inosservati alle loro vittime, se non fossero stati sostenuti dalla macabra retorica nichilista della sinistra.

Questa è la responsabilità politica dei moderni collaborazionisti, e a questa responsabilità dovremo richiamarli a giugno.

sabato 11 maggio 2024

Il costo della democrazia

Parto da un presupposto, la comprensione del quale distingue l'uomo dal fascista (perché il fascismo è in primis et ante omnia antiparlamentarismo): la democrazia ha un costo.

Gli staff di tecnici che in Parlamento ci aiutano a seguire i provvedimenti (staff tanto più necessari in quanto l'esercizio della funzione legislativa è costantemente perturbato dalla gragnuola di provvedimenti di iniziativa governativa ed europea, sotto la quale orientarsi è veramente complesso), le ipotetiche sezioni in cui si potrebbe ipoteticamente svolgere quel dibattito "dal basso" che ipoteticamente potrebbe portare all'emergere di  candidature espressione del "bobolo", la propaganda elettorale, col suo corredo di materiali, di eventi, di diffusione sui media, ma anche le attività divulgative, di diffusione di un messaggio e di sollecitazione di una consapevolezza (esclusa quella in cui vi trovate ora), hanno un costo finanziario. Ma senza la diffusione di un messaggio, senza un'organizzazione territoriale, senza una classe dirigente, non esistono i partiti e non esiste la democrazia rappresentativa. Si rimane quindi con la dittatura, o con la sua versione per gonzi: il mito della democrazia diretta, da esercitare magari su un registro distribuito mediante blockchain (e vi ci vedo proprio a votare il 24 dicembre i millesettecento emendamenti della legge finanziaria dal cellulare, invece di fare gli ultimi regali)!

Se la democrazia ha un costo, i casi quindi sono due: o si rinuncia ad essa, o la si finanzia.

Vengo quindi alla domanda che volevo porvi.

Quale sarà la ratio (aspetto il cretino che legga: rescio) legis dei complessi adempimenti in tema di trasparenza del finanziamento pubblico dei partiti, col loro corredo di timbri, firme, ceralacche, controlli da parte della Corte d'Appello, dichiarazioni congiunte (cioè a doppia firma del donante e del donatario) sopra una certa soglia, dichiarazioni semplici sotto una certa soglia, pubblicazione degli elenchi (autentiche liste di proscrizione!) sui siti dei partiti, ecc. ecc.?

Perdonatemi se sarò superficiale, non citandovi tutta la complessa normativa, non fornendovi i dossier e gli atti parlamentari che hanno condotto a proporla e adattarla infinite volte, insomma, non esercitando lo scrupolo documentale che è una delle cifre di questo blog, e che ha contribuito alla sua credibilità. Fatto si è che a me qui, oggi, non interessa un lavoro di ermeneutica legislativa né di tracciamento delle responsabilità o addirittura delle intenzionalità politiche che ci hanno condotto a tanto, e non mi interessa nemmeno una storicizzazione rigorosa di questi sviluppi, che ovviamente si collocano nell'alveo di quella "moralizzazione" che, come abbiamo ormai capito, nata con nobili intenzioni altro non è diventata che il volto presentabile dell'antipolitica, cioè del tentativo (riuscito) da parte del complesso militare-industriale-mediatico-giudiziario di indebolire ed esautorare i corpi elettorali.

A me interessa solo il fottuto Aristotele, il grande sconfitto della stagione politica scaturita dalla micidiale accoppiata Maastricht-Mani pulite.

Mi chiedo, e vi chiedo: tanta trasparenza serve forse alla magistratura, serve a coadiuvare il suo lodevole sforzo nel contrastare la corruttela, nell'evitare che il politico agisca contro l'interesse pubblico (di chi?) perché catturato da interessi particolari (di chi?)?

Mi sembra ovvio che la risposta a questa domanda non può essere che un netto e risonante: no.

Lo scandalo dei dossieraggi, una vicenda popolata da personaggi uno più sordido dell'altro, ci rende chiaro che siamo tutti ascoltati. Io, ad esempio, do per scontato di esserlo, e di esserlo illegalmente, va da sé. Basta saperlo per regolarsi di conseguenza: siccome sono una persona disonesta fino a prova contraria (essendo un parlamentare: questo è il lascito del grillismo...), con sprezzo del pericolo uso ancora il telefono! Se fossi un mafioso userei i pizzini (analogico batte digitale uno a zero). Scherzi a parte: la magistratura ha, e deve avere, tutti gli strumenti che le servono (e di cui non dovrebbe abusare, ma le cronache ci confermano che spesso abusa) per esercitare il suo controllo di legittimità. Se sospetta, o presume (magari, ipotizzo, per pregiudizio ideologico) l'esistenza di un reato, può disporre intercettazioni, accessi alle basi dati, ecc. Non ha certo bisogno di andare a consultare le liste dei finanziamenti leciti (lecitamente concessi, lecitamente accolti, lecitamente pubblicizzati) per fare il suo lavoro, che non dovrebbe essere un controllo di merito, ma sempre di più, sempre più smaccatamente, vuole esserlo.

La pubblicità dei finanziamenti leciti ha evidentemente un'unica "rescio", che non è quella di permettere alla magistratura di esercitare il proprio giudizio di legittimità (l'ordinamento le attribuisce ben altri e più pervasivi mezzi per farlo), ma quella di permettere agli elettori di esercitare il proprio giudizio di merito. L'elettore, che non ha i poteri della polizia giudiziaria, ha un unico modo per formarsi un libero convincimento su quanto la linea del partito che vorrebbe votare sia o meno influenzata da interessi più o meno loschi, ed è appunto quello di accedere alle liste dei finanziamenti pubblicate sui siti dei partiti, valutando chi sono i soggetti finanziatori, e riflettendo liberamente su quanto gli interessi di questi soggetti coincidano col proprio. Non potendoci intercettare tutti a vicenda (non fosse che per mancanza di tempo!), è in base a questi elenchi pubblici che possiamo formarci un giudizio (noi), ed esercitare (noi) il (nostro) giudizio di merito votando o non votando una determinata forza politica in base al fatto (cioè alla nostra percezione) che essa sia o non sia indipendente da interessi più o meno loschi.

In altri termini, in una democrazia sana la magistratura dovrebbe finire dove inizia la trasparenza, o, se volete, dovrebbe iniziare dove la trasparenza finisce, perché consentire alla magistratura di sindacare sul merito di un finanziamento lecitamente concesso e pubblicato significa attribuirle un potere di indirizzo politico che in una democrazia sana non dovrebbe avere, se non per la quota parte dell'esercizio dei diritti di elettorato attivo e passivo di ogni magistrato uti singulus.

Ma sappiamo tutti benissimo che non è così, lo abbiamo capito da un pezzo, lo abbiamo plasticamente visto in Senato, quando all'epoca dello scandalo Palamara nessuno fece un fiato, e in infinite occasioni precedenti e successive di personaggi silurati con processi cui sono conseguite assoluzioni ampiamente anticipate, ma che hanno lasciato nella vita delle persone interessate un buco del tutto analogo a quello che il Partito Dossieraggi ha lasciato nel Pil italiano (ve ne parlavo nel post precedente).

Ora, come sapete, a me non interessa il merito ma il metodo, e non mi interessano le dinamiche soggettive (l'eventuale mens rea delle parti in causa: quella è roba di cui si deve appunto occupare la magistratura) ma quelle oggettive.

Non sto quindi dicendo che la magistratura (presa così, a corpo) sia perversa. Ogni generalizzazione è ingiusta, e il modo peggiore di reagire a ingiustizie è praticarne. Non sto nemmeno dicendo che i magistrati, che alcuni magistrati, non facciano bene il loro lavoro. Credo lo facciano tutti molto bene, altrimenti sarebbero sanzionati dal loro organo di autogoverno, il CSM: nel caso, quindi, l'attenzione andrebbe spostata su questa istituzione e su cosa eventualmente le impedisse di funzionare bene. Voglio che sia chiaro che quello che qui si dice lo si prova a dire (da sempre) nell'interesse delle istituzioni, e in particolare della magistratura, perché da esponente del potere legislativo vivo male in un Paese in cui all'ennesimo titolo di giornale il mio riflesso non è quello di approfondire, ma di esclamare "Mo che è st'altra cazzata!?" e di girare pagina. Perché di amici persegui(ta)ti e poi assolti ormai ne ho un certo numero, stranamente superiore a quello degli amici perseguiti e condannati. Tutti questi falsi positivi un perché ce l'avranno, e potrebbe anche essere semplicemente quello che io gli amici li scelgo bene, ma in ogni caso il mio punto non è qui quello di delegittimare la magistratura o di invocare bavagli su di essa!

Il punto cui voglio arrivare è un altro, e ci arriveremo in ogni caso: secondo me, dopo un fatto traumatico che riconcili gli italiani con la democrazia (la morte in guerra di un figlio è una soluzione drastica e che non mi auguro, ma nel 1945 dimostrò di essere efficace, portando alla Costituzione del 1948); può anche darsi che ci si arrivi attraverso un processo ordinato e meno traumatico. Se i magistrati sono, o meglio, sembrano (perché ho appena detto che non lo sono e che sarebbe ingiusto etichettarli come tali), "compagni che sbagliano", la soluzione è riportare le istituzioni in un alveo che non li induca in tentazione (per inciso: io morirò senza aver detto "non abbandonarci alla tentazione". Mi assolvano tutti i vescovi e gli arcivescovi del mio collegio, alle cui preghiere costantemente e sinceramente mi raccomando).

Questo alveo era ben delineato quando la memoria del fascismo vero, quello che sopprime la libertà di parola, era ancora viva (siamo grati al PD che ogni tanto ce la rinfresca sguinzagliando i suoi squadristi, come farà fra poco a Livorno), ed era racchiuso da due argini: finanziamento pubblico dei partiti e immunità parlamentare.

Basterebbe ripristinare questi argini, ammalorati dal grillismo e dalla sua controparte istituzionale (il desiderio di alcuni di considerarsi legibus soluti), per veder tornare a scorrere le acque della democrazia, che ora si sversano e si intorbidano in una palude mefitica e inospitale, quella dell'antipolitica, dove il legame fra volontà popolare e indirizzo politico si corrompe e si imputridisce, lasciando il campo alla soft law della governance sovranazionale, agli indirizzi politici di chi piace alla gente che piace: un giro di corruzione (vera) così macroscopico da essere too big to prosecute (i silenzi delle magistrature su vicende recenti in cui erano evidentemente in ballo interessi economici giganteschi in effetti non depone tantissimo a loro favore, ma tant'è...).

Se non esistono più i presupposti culturali, di cultura giuridica e istituzionale, per gestire il finanziamento privato, si torni a quello pubblico: si stroncherà così in radice l'idea che la linea del partito possa essere corrotta da interessi criminosi o criminogeni, fatto salvo ovviamente il caso di reati, cioè, nel caso in specie, di mazzette, che però potranno essere individuati e perseguiti come tali, come lo sono sempre stati.

Se un'infinita serie di inchieste apparentemente a orologeria (ma la forma è sostanza!) seguita da assoluzioni non altrettanto puntuali ha ingenerato il sospetto diffuso di un esercizio strumentale dell'azione penale, si stronchi questo sospetto sul nascere reintroducendo l'immunità.

Il giudizio sui fatti e misfatti della politica deve essere restituito al cittadino. Chiarisco questa frase, che non è né l'invocazione di un tribunale del popolo, con tanto di tricoteuses, né l'appello a una depenalizzazione generalizzata di qualsiasi cosa fatta da chiunque sia titolare di un incarico elettivo. No. Io intendo dire un'altra cosa. Intendo dire che la panpenalizzazione dell'azione politica, il fatto che non ci sia più procedura, adempimento, genuflessione, timbro, salamelecco, ceralacca, che ti salvi dalla presunzione di colpevolezza in quanto politico, è innanzitutto uno sfacciato e vibrante insulto a quel popolo italiano nel cui nome si pretenderebbe di esercitare la giustizia. Pretendere di sostituirsi all'elettore nell'esercizio di una funzione di indirizzo politico (gli esempi non mancherebbero, ma non mi dilungo che sono già quasi a Milano) significa esternare una radicale sfiducia nella capacità di discernimento dell'elettore stesso, o peggio ancora una generalizzata e tombale presunzione di colpevolezza, tale per cui il politico scelto sarà comunque scarso, o perché l'elettore è stupido (ovviamente se non è di sinistra, come la sinistra amabilmente gli ricorda nel tentativo di catturarne le simpatie), o perché agisce in cambio di favori, in un'ottica quindi assimilata sic et simpliciter al voto di scambio.

Forse, nei salotti che contano, e in cui il lobbysmo scorre potente, bisognerebbe ricordare che non solo i ricchy, ma anche i povery, quando votano qualcuno, lo fanno perché da quel qualcuno si aspettano qualcosa, e che se questo meccanismo, che si chiama rappresentanza politica, va bene quando è agito dai ricchy, deve andare bene anche quando agito dai povery. Ma è sempre più evidente che l'azione della magistratura sta esondando dal giudizio sul "qualcosa" che gli elettori si aspettano, al fatto che essi si aspettino qualcosa. Nel mirino c'è l'essenza stessa del meccanismo di rappresentanza, che implica un mandato, e quindi un "fare qualcosa".

Il finanziamento pubblico si rende tanto più necessario in quanto nella temperie culturale attuale quello privato è fonte di un duplice attacco alla democrazia: l'attacco da parte della magistratura, quando esonda volendo sottoporre a giudizio di merito (e quindi implicitamente di indirizzo politico) fatti assolutamente leciti, e l'attacco da parte dell'universo mondo piddino, fatto di istituzioni, datori di lavoro, direttori di banca, capi ufficio, insegnanti dei propri figli, ecc., che grazie alla pubblicazione delle liste (di proscrizione) dei tanti finanziatori della Lega sa verso chi esercitare la propria discriminazione, sa quale cliente, paziente, figlio, ecc., penalizzare per motivi di odio ideologico. Questa è l'esperienza di ognuno di noi: tanti ci sostengono idealmente e vorrebbero farlo anche concretamente, ma in questo baese libbero, demogradigo e andifascisda hanno il terrore di far sapere che sostengono Salveenee.

E questo terrore è purtroppo motivato, ve lo posso dire per esperienza personale.

Con l'immunità quo ante si stroncherebbe in radice il sospetto di strumentalità di certe indagini. Questo significa che il Parlamento diventerebbe la Caienna di una ciurma di sconclusionati gaglioffi? No, ovviamente no, perché gli elettori non lo consentirebbero, e quindi, ben prima di sottoporsi al loro giudizio, non lo consentirebbero i partiti, come non lo consentivano all'epoca in cui la memoria di cosa fosse il fascismo aveva suggerito di rendere inviolabili i parlamentari nell'esercizio delle loro funzioni politiche. Ma oggi chi fa il piagnisteo in memoria di certi uomini coraggiosi è il primo a tradirne il lascito, consegnandosi allo squadrismo di chi nei fatti ha trasformato quell'aula sorda e grigia in un bivacco di meetup.

Insomma: Dio è morto, Aristotele è morto, ma io sono in ottima forma, e non sono disposto ad arrendermi.

E voi?

giovedì 9 maggio 2024

La demografia come variabile indipendente?

(…prima l’ho scritto per voi, e poi l’ho letto a loro, con tanto di slides. Il risultato mi ha sorpreso. Si vede che qui, con voi, riesco a trovare una dimensione espressiva efficace. D’ora in avanti farò così…)


Nella sua Relazione Programmatica 2023-2025 il CIV (Consiglio di Indirizzo e Vigilanza) dell'INPS sottolineava l’esigenza di effettuare uno “Studio sull'incidenza della contribuzione previdenziale sui redditi da lavoro in Italia, comparata con gli altri Paesi europei”. La Relazione di Verifica di quest'anno riporta succintamente i primi risultati di questa inchiesta. Un elemento che il CIV (e chi vi scrive) reputa interessante si trova a pag. 87 della Relazione di Verifica:

Mi conforta constatare che persone più competenti di me in materia evidenzino il fenomeno che vi ho illustrato nei due post precedenti: il gettito contributivo ha subito una flessione, e questo in parte per un elemento che avevo trascurato (il ricorso alla fiscalità generale determinato dalle agevolazioni contributive: insomma, il famoso discorso delle "coperture" per il "taglio del cuneo"- così capite meglio di cosa stiamo parlando...), ma in parte per un calo del monte retributivo, quel calo che abbiamo documentato nel post sull'inverno macroeconomico:

cui si associa un calo del gettito contributivo:


Tuttavia, la lettura che di questo calo dà il CIV dell'INPS, attribuendolo sic et simpliciter alla "riduzione dell'occupazione", non tiene conto di quello che a mio avviso è il fatto politico più rilevante di quest'anno, o forse dell'intero ventennio: il discorso di Draghi a La Hulpe il 16 aprile scorso:


Nel rivolgermi a un'istituzione che è un pilastro, il primo pilastro, del nostro modello di sicurezza sociale, mi è impossibile e sarebbe intellettualmente disonesto trascurare quanto un personaggio così autorevole afferma circa le ragioni che ne hanno determinato l'indebolimento a livello europeo.

Quello che Draghi, omettendo qualche passaggio, dice non è un'assoluta novità. Il passaggio omesso è l'adesione dell'Italia all'unione monetaria. Che questa adesione sia un elemento di disciplina dei salari è scritto nei libri di testo (ad esempio, a pag. 122 e 125 di La politica economica nell'era della globalizzazione, di Nicola Acocella: la politica del cambio forte serve a "contrastare politiche salariali o fiscali ritenute inflazionistiche"). Mi piace citare anche l'On. Fassina, che a suo tempo condensò questa verità macroeconomica in una frase icastica e veritiera: "non potendo svalutare la moneta, si svaluta il lavoro" (a Servizio Pubblico, il 31 gennaio del 2013, concetto poi ripreso e sviluppato su Italia Oggi del 26 settembre 2014). 

Ora, il dato su cui desidero portare la vostra attenzione è che, con dieci anni di ritardo rispetto all'On. Fassina, Mario Draghi dice la stessa cosa: la risposta europea a una crisi esterna che richiedeva recupero di competitività è stata il tagliare vicendevolmente i "costi" salariali, cioè quelli che visti dal lato del lavoratore sono un reddito, e visti dal lato dell'INPS sono un contributo, visto che il gettito contributivo, come ci ricorda il CIV, dipende dalla massa salariale.

La svalutazione del lavoro, appunto.

Questo fenomeno è nei dati. Vediamo che a partire dal 2012, anno in cui entrano in vigore le politiche di austerità dettate dalla lettera della BCE dell'agosto 2011 e eseguite a partire dal 16 novembre 2011 dal Governo Monti, il monte retributivo subisce uno scostamento al ribasso dalla propria tendenza storica di intensità e persistenza mai sperimentate. L’eccezionalità si comprende meglio "zoomando" fino al 1980:


Ma la piccola integrazione (non correzione) che mi sento di fare, che il presidente Draghi fa, alla Relazione di Verifica, è questa: a pag. 87, dove si parla della riduzione dell'incidenza della contribuzione previdenziale, dovremmo specificare che essa è stata una conseguenza della riduzione dell'occupazione e della deliberata riduzione dei salari (il termine "deliberata" è di Draghi: ci sarebbe da discutere su chi l'avrebbe abbia deliberata ma in questa sede mi limito a esporre fatti).

Il fenomeno, del resto, è visibile nei dati:


(il pallino rosso identifica il quarto trimestre 2011, cioè l'arrivo dell'austerità col Governo Monti: i salari nominali torneranno solo nel secondo trimestre del 2015 ai valori antecedenti alla "cura").

Quando nell'agosto 2011 prefiguravo uno sviluppo simile sulle colonne niente di meno che del Manifesto (la vita è strana), quello che mi veniva risposto era: "Ma cosa dici! I lavoratori non accetteranno mai un taglio del salario nominale. Al più un'erosione del potere d'acquisto attraverso l'inflazione." In realtà dal trimestre successivo (autunno 2011) abbiamo avuto l'una e l'altro.

Ora, va aggiunto un pezzettino a questo ragionamento.

Tagliare i costi, cioè i redditi, salariali, è un'operazione che non ha enorme agibilità politica. Per poterla realizzare, occorre creare un contesto in cui il potere d'acquisto dei lavoratori sia indebolito: un contesto recessivo. E anche qui ci soccorrono le parole del Presidente Draghi: le deliberate politiche di bilancio procicliche (cioè i tagli degli investimenti pubblici in circostanze recessive) hanno oggettivamente favorito quell'aumento della disoccupazione che, come gli economisti sanno, naturaliter determina un effetto di repressione salariale, l'effetto che si voleva conseguire per recuperare competitività di prezzo.

Anche questo è nei dati.

Se mettiamo in prospettiva l'evoluzione degli investimenti pubblici in Italia (dati OCSE a prezzi correnti) il quadro che emerge è tanto ignoto ai più quanto impressionante:


Negli ultimi quarant'anni non s'era mai vista una cosa del genere, nonostante le tante crisi che sicuramente molti fra i presenti ricordano. Non s'era vista, perché prima dell'adesione all'eurozona, che comportava il rispetto delle regole del Patto di Stabilità e di Crescita, il contesto istituzionale non imponeva una risposta così suicidaria a uno shock esterno.

Ovviamente un fenomeno così macroscopico si è riflesso sull'andamento del Pil italiano. Del resto, le retribuzioni sono un pezzo del Pil, qualora lo si consideri dal lato del reddito. Sotto la duplice morsa del taglio della domanda pubblica (taglio degli investimenti) e di quello della domanda privata (taglio dei salari) il Pil italiano si è spiaggiato e ancora stenta a tornare al livello precedente alla crisi (quello del 2007. Il fenomeno è impressionante, macroscopico, e dovrebbe essere al centro dell'attenzione di tutti i cittadini:


Un disastro simile non s'è mai visto in tutta la storia unitaria del nostro Paese:


dato che emerge ancor più nitido se si considera il flusso di investimenti fissi lordi, cioè di spesa in beni capitali produttivi da parte delle imprese:


e già questo basterebbe a motivare la necessità di portarlo al centro del dibattito pubblico. Sono numeri, sono statistiche, della Banca d'Italia, dell'ISTAT, dell'OCSE.

Il disastro causato dalle deliberate (e oggi tanto autorevolmente descritte, anzi confessate!) politiche di competizione al ribasso sui salari e sugli investimenti pubblici ci riguarda tutti, ma a me in questa sede piace mettere in evidenza due aspetti che ritengo possano essere di diretto interesse per questo pubblico, prima di formulare qualche ipotesi sulle direzioni da prendere per uscirne.

Prima di tutto, nel dibattito sulla sostenibilità del sistema pensionistico si fa costante riferimento al rapporto fra la spesa previdenziale e il Pil. Un indicatore il cui significato è limpido e la cui rilevanza non può essere negata. Poniamoci allora una domanda: quale sarebbe stata l'evoluzione di questo rapporto se in seguito alla crisi del 2009 non avessimo risposto con politiche contrarie alla crescita? Se la crescita nominale fosse stata in media analoga a quella anteriore alla crisi? Insomma, se le politiche deliberate di aggressione allo Stato sociale non ci avessero portato così visibilmente sotto le tendenze secolari del nostro sistema economico?

La risposta è in questo grafico:


Se il tasso di crescita nominale del Pil fosse rimasto prossimo alla sua media storica dall'entrata nell'euro (il 2.9%), dopo il balzo verso l'alto determinato dalla recessione del 2009 il rapporto fra spesa pensionistica e Pil sarebbe tornato gradualmente verso il valore storico prossimo al 14%. L'assassinio deliberato della crescita ha determinato un innalzamento persistente su valori oltre il 16%. Va da sé che simili controfattuali hanno un valore meramente descrittivo: essi aiutano però a inquadrare la dimensione dei fenomeni e in parte, a mio avviso, a cercare la soluzione nella direzione giusta, che non può essere quella di reprimere la crescita (i salari, gli investimenti).

Seconda osservazione. Ci fu una stagione in cui si parlava di salario come variabile indipendente. Una posizione politica lecita, un dibattito cui parteciparono persone così autorevoli che non mi sento degno neanche di menzionarle, ma anche, diciamocelo pure, un mantra. In meno di un anno di esperienza da Presidente della Enti Gestori, mi pare che oggi il mantra sia un altro: quello della demografia come variabile indipendente. Ma la demografia non è indipendente dall'economia. La geologia lo è: mette mari e monti dove le pare, e l'economia deve adattarsi. La demografia molto meno. Mi spiego con un grafico, quello delle nascite in Italia dal 1995 in qua (dati ISTAT, integrati dal 1995 al 1999 con dati OCSE):


Anche qui, una frattura è evidente. In questo caso non è senza precedenti: ci fu un tempo, storico, in cui in Italia nascevano oltre un milione di bambini all'anno. Le dinamiche demografiche sono lunghe, certo, ma appunto quello che qui impressiona è la rapidità dell'inversione di tendenza in un contesto che dalla metà degli anni '90 era stato in ripresa sostanzialmente fino al 2010.

Senza voler stabilire un particolare nesso di causalità, viene però da accostare lo scostamento dei nati dal loro tendenziale a quello del Pil dal suo tendenziale:


Le due tendenza certamente si parlano: sostenere che siano esogene l'una all'altra sarebbe ardito, come lo sarebbe andare alla ricerca di un nesso di causalità diretto ed esclusivo. I fattori sono molti e la relazione viaggia nei due sensi: si può anche argomentare, ponendosi dal lato dell'offerta, che il calo della popolazione e quindi dei lavoratori causi un calo del prodotto. Non mancano tecniche sofisticate per sciogliere questi nodi e individuare la relazione del nesso causale. Certo è che la risposta a quale sia questa direzione è dentro ognuno di noi, soprattutto di chi ha avuto l'opportunità di vivere in un Paese diverso, più autonomo.


Mi avvio a concludere.

Oggi siamo tutti d'accordo (qualcuno con genuina e motivata convinzione, qualcuno obtorto collo) sul fatto che le politiche di austerità siano state un fallimento, ma documentare quanto, come e perché lo siano state temo non sia un esercizio inutile.

Siamo anche tutti d'accordo, lo ribadisco per rassicurare eventuali commentatori distratti o maliziosi, che l'unione monetaria sia irreversibile.

Tuttavia, onestà intellettuale vuole che si convenga anche sul fatto che con le regole date essa è insostenibile, per due motivi:

1) perché pone un trade-off fra competitività e sostenibilità finanziaria (del sistema pensionistico, ma più in generale di tutte le posizioni debitorie);

2) perché rende strutturalmente inutile l'adesione al mercato unico.

Che senso ha infatti aderire a un mercato unico se quando arriva una crisi globale, e quindi il mercato unico europeo servirebbe come sbocco per la produzione europea, l'unica risposta che si riesce a escogitare è un taglio dei salari e degli investimenti pubblici europei, cioè, di fatto, la sterilizzazione del potere d'acquisto di questo mercato, la sua obliterazione de facto come mercato di sbocco dell'Unione?

Come riportare sostenibilità nella costruzione europea?

Credo che la chiave sia nel ripercorrere all'indietro il percorso che abbiamo fatto fin qui. Se le minacce alla sostenibilità del primo pilastro (e di tante altre cose, fra cui tutte le posizioni debitorie pubbliche e soprattutto private) vengono dalla mancata crescita, a sua volta causata da tagli degli investimenti eseguiti in ossequio a regole di bilancio, bisogna ripartire dalle regole di bilancio, evitando che esse richiedano il taglio degli investimenti in condizioni di crisi. La riforma delle regole di bilancio attualmente in itinere va nella direzione giusta, ma dobbiamo anche dirci che, pur riconoscendo e apprezzando gli sforzi del Governo italiano, resta da compiere ancora uno sforzo perché la crescita torni al centro della politica europea.

Dobbiamo anche guardarci dall'atteggiamento di chi, per non assumersi la responsabilità di scelte i cui esiti sono quelli che vi ho illustrato, oggi strizza pericolosamente l'occhio al keynesismo bellico. Quello che serve al Paese sono opere di pace: investimenti in capitale fisico e in capitale umano. Sottolineo questo punto: non è logicamente coerente che un sistema che a parole attribuisce tanta importanza allo sviluppo del capitale umano penalizzi la spesa in capitale umano (istruzione, sanità...) considerandola spesa corrente. Senza una golden rule intelligentemente costruita, e quindi "inclusiva", come oggi si usa dire, il futuro dell'Unione Europea è l'avvitamento su se stessa, è quel ruolo di buco nero della domanda mondiale cui la condanna la logica della svalutazione interna.

Un futuro triste, ma meno tragico di quello verso cui ci conduce chi oggi, in un Paese in molte sue parti privo di strade percorribili, con un'edilizia scolastica da qualificare, con una sanità pubblica che comincia ora a riprendersi dalla stagione dei tagli, vede nella costruzioni di armi l'unica legittimazione dell'intervento pubblico nell'economia. Esercitiamo la massima cautela nei riguardi di queste tesi, che, se non contrastate, possono condurre alla più catastrofica delle previsioni autorealizzanti.

Concludo su una nota positiva: i risultati conseguiti dall'INPS in termini di tenuta dei conti, in particolare del sistema pensionistico, sono buoni. Se valutati alla luce di quello che abbiamo fatto alla nostra economia, sono miracolosi. Sopravvivere a una simile distruzione di valore, come quella causata dalla svalutazione interna, non è cosa banale. Se ne riconosca il merito a chi ha guidato e indirizzato, nei vari ruoli, il lavoro di questa importante istituzione.

mercoledì 8 maggio 2024

L'inverno macroeconomico in prospettiva

Domani proverò a illustrare i semplici concetti enunciati nel post precedente a un pubblico che in linea di principio dovrebbe essere interessato all'argomento, ma di cui non posso dare per scontata la benevola attenzione né la disponibilità a mettere in gioco le proprie certezze: questo.

Nel frattempo, aderendo alla linea editoriale di questo blog, e anche alla mia specifica competenza professionale, che è quella di analista delle serie storiche di lungo periodo, sono andato a ripescare i dati  allungando fino al 1980 la serie storica dei contributi sociali (e anche di tutto il resto, a dire il vero: ma il resto lo vedrà domani chi verrà, anche se suggerisco di seguire l'evento in diretta streaming, nel caso interessi, perché non so se per Palazzo Wedekind occorrano accrediti e ho la vaga idea di sì; io parlerò intorno alle 16).

Ho preso una vecchia CN (contabilità nazionale) trimestrale dell'ISTAT del quarto trimestre del 1996 (ovviamente in lire, ovviamente non più disponibile, anzi, forse mai resa disponibile sul sito, dove la versione più antica mi pare essere quella del 2011), l'ho convertita in dato annuale sommando i quattro dati trimestrali, l'ho riportata da miliardi di lire a milioni di euro dividendola per 1.93627, e il risultato è questo qui (i dati dal 1995 in poi vengono da qui, come forse non vi avevo detto):


La sostanza non cambia, né si vede perché dovrebbe cambiare.

Prima della rincorsa al ribasso dei salari, prima delle politiche che per essere beggar-thy-neighbour sono diventata beggar-thy-worker, cioè beggar-thyself, nessun evento, nemmeno quelli ricordati (o millantati) dalla stampa come catastrofici, ad esempio la mitologica crisi del 1992, avevano prodotto scostamenti al ribasso del gettito contributivo analoghi per intensità e persistenza.

E per forza!

Prima dell'ingresso nell'euro shock esterni venivano ammortizzati dal tasso di cambio e quindi non si riflettevano necessariamente e inesorabilmente sui salari (e da lì sul gettito contributivo). Il Paese strutturalmente in surplus rivalutava, come abbiamo spiegato ad esempio qui, e la convivenza, che in Europa non sarà mai piacevole, era però sostenibile. Con l'ingresso nell'eurozona, al primo shock rilevante (la crisi finanziaria globale) si è dovuto rispondere con la svalutazione interna, quella del nostro lavoro, delle nostre vite, attivando una spirale deflattiva dalla quale a malapena riusciamo a districarci ora, dodici anni dopo, e solo perché grazie al COVID le regole sono state sospese!

Questo piccolo addendum vale quindi a smentire i cretini (di cui non v'è mai difetto) che eventualmente dovessero imputare i risultati del post precedente alla particolare selezione del campione (sono partito dal 1995 semplicemente perché l'ISTAT, nel suo costante anelito di perfezione, continuamente rivede le serie e toglie quelle meno che perfette dal sito: ma per analizzare le tendenze di lungo periodo non occorre perfezione, occorre trasparenza).

D'altra parte, voi qui che cosa sia il Pil dovreste saperlo. Dovreste sapere che lo stesso numero può essere calcolato e letto lato produzione (come somma dei valori aggiunti settoriali: agricoltura, industria, ecc.), lato domanda (come somma delle spese dei vari operatori economici: consumi delle famiglie, investimenti fissi lordi delle imprese, ecc.), e lato reddito (come somma delle retribuzioni percepite dal lavoro, dal capitale-impresa, ecc.).

Ne abbiamo parlato in dettaglio nello spiegare il miracolo lettone, e molte altre volte.

Ne consegue che se il Pil misurato dal lato della domanda fa la cosa che abbiamo visto qui:


è piuttosto ovvio che farà la stessa cosa anche se lo misuriamo dal lato dei redditi (il Pil questo è: il valore della produzione non può differire né dalla spesa effettuata per acquistarla né dai redditi distribuiti a chi l'ha realizzata!). Ecco perché anche da quel lato lì (cioè nelle retribuzioni) riscontriamo la frattura su cui negli ultimi tempi ci stiamo interpellando (almeno dal 2016, in realtà).

Non che non sapessimo quale ne fosse la causa: l'avevamo individuata già nel 2011. Ma certo ora avere la confessione dei carnefici aiuta, o almeno dovrebbe aiutare.

Vi saprò dire domani.

lunedì 6 maggio 2024

L'inverno macroeconomico

Da quando sono Presidente di una Commissione che controlla le gestioni pensionistiche è tutto un fiorire di inviti a convegni e presentazioni di rapporti. Aleggia su tutte queste iniziative, nessuna esclusa, il gelo del cosiddetto inverno demografico: così come sui media generalisti di altro non si parla che del riscaldamento del globo, in questi convegni specialistici di altro non si parla che del raffreddamento della demografia, che poi sarebbe il fatto che "le donne non fanno più figli" (non so se sia politicamente corretto metterla così: biologicamente lo è), un fatto di cui anche qui parlammo a suo tempo (lo ricordavo nell'ultimo post).

Ora, quando esisteva più libertà di espressione del pensiero di oggi, un poeta, Francesco Maria Piave, poté scrivere "la donna è mobile, qual piuma al vento", e un musicista, Giuseppe Verdi, si arrischiò a mettere queste parole in musica:

Oggi non potrebbero, ma non è di questo che volevo parlarvi. Volevo invece esprimere il mio scetticismo verso le analisi più o meno raffinate che individuano in una pretesa "volubilità" femminile la causa del crollo delle nascite, e anche, se posso, esternare il mio fastidio per chi vede nella demografia, presa come dato esogeno, l'unico elemento di rischio per il sistema pensionistico. Mi soffermo su questo secondo punto. Se fino a due settimane fa era possibile ignorare il dato macroeconomico senza apparire troppo ipocriti, dopo questo discorso, e in particolare dopo il suo noto esordio:


vedo arduo pretermettere un fatto: la sostenibilità del nostro sistema pensionistico (che è un sottoinsieme del nostro modello sociale) è stata compromessa dalle strategie deliberate di repressione salariale, cioè dall'abbattimento dei costi salariali necessario per recuperare competitività all'interno di un'unione monetaria.

Sul perché un’unione monetaria imponga la repressione salariale come unico strumento per recuperare competitività ci siamo soffermati per anni, quindi non mi dilungo oltre (salvo richieste specifiche). Sul perché questo comprometta la sostenibilità del sistema pensionistico basteranno poche parole. Come ci siamo detti, il metodo di calcolo contributivo non implica che il sistema sia a capitalizzazione: rimane a ripartizione. Questo vuol dire che le pensioni di oggi non sono pagate sui proventi dei contributi di ieri, ma sui contributi di oggi. A loro volta, i contributi sono calcolati applicando un'aliquota alla retribuzione lorda (i dettagli sono qui). Questo significa che se si applica una strategia deliberata di repressione delle retribuzioni lorde, cioè una cosa di questo tipo:


ovviamente il risultato sarà una proporzionale depressione del gettito contributivo, cioè una cosa di questo tipo:


e ovviamente a valle della repressione dei salari l'equilibrio del sistema pensionistico potrà essere garantito solo con una repressione delle pensioni, cioè con un progressivo abbattimento del tasso di sostituzione, che consenta al sistema di reggere nonostante si sia prosciugata la sua fonte di finanziamento (i contributi). Queste considerazioni sono avvalorate dal fatto, a voi (ma non a tutti) chiaro, che siccome un abbassamento dei salari può essere forzato solo attraverso un incremento della disoccupazione, nel bilancio complessivo del sistema le spese di tipo assistenziale aumentano per effetto della povertà indotta.

A me pare strabiliante che di queste cose, che sono così evidenti nei dati e così radicate nella elementare logica macroeconomica, nessuno parli e nessuno voglia parlare. Sto cercando di capirne le ragioni, che credo siano da ricercare in uguale misura nella contiguità politica di chi dovrebbe notarle con chi ha messo in atto le politiche di austerità (il PD), nel fatto che certe categorie, ad esempio le varie professioni, sono state, o si sono credute, al riparo da certe politiche di aggressione ai lavoratori dipendenti (ignorando il dato che fra questi ultimi molti sono - o erano, finché potevano permetterselo - loro clienti), e poi dalla santa ignoranza dell'economia e della logica elementare, che mi sembra malattia molto diffusa e molto contagiosa (i giornali sono il principale veicolo del contagio).

Mi pongo anche il problema di quanto valga la pena, nelle varie occasioni ufficiali, richiamare l'attenzione dei presenti su questi dati di realtà. L'inverno macroeconomico, indotto deliberatamente, ha pesato sulla sostenibilità del sistema previdenziale più dell'inverno demografico, di cui è stato verosimilmente la principale causa (perché se molte famiglie che vorrebbero avere figli non possono la colpa non è certo della donna che è mobile, ma del lavoro, che muta ogni giorno d'accento e di pensier, nel mondo della precarietà integrale predicata da Draghi e attuata dal PD).

Ma naturalmente:


e quindi assisto compunto e sconsolato a queste liturgie, con un'occhio all'appunto preparato per la circostanza e l'altro all'orologio. D'altra parte, mette conto combattere questa battaglia di consapevolezza? Oggi, come sapete, i cavalli di razza della politica italiana, cioè gli artefici del disastro documentato qua sopra, non si pongono più il problema di come incentivare le nascite: sono apertamente passati a chiedersi come incentivare le morti:


atteso che il problema del perché è risolto: per fare una vera Unione Europea, ovviamente senza chiedere agli interessati se il progetto piaccia o meno (per chi se la fosse persa, questa è l'intervista di Cazzullo a Monti sul Corriere del 4 maggio scorso).

Quindi che cosa volete che vi dica? Più che essere cortese e cercare di risparmiare tempo non mi rimane, e quel poco tempo che riesco a racimolare lo dedico a voi che avete dimostrato, negli anni, di voler capire che cosa stesse succedendo.

Nisi granum frumenti cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet; si autem mortuum fuerit, multum fructum affert.

venerdì 3 maggio 2024

Questa piana...


...che vedete dolcemente madida del sole della primavera, già più volte nei tempi andati arrestò col suo distaccato rigore il francese, come vi narrai qui. Ma ora, si sa, c'è il claimatceing (ogni tanto), e comunque a giugno non sarebbe assennato contare sul suo aiuto. Ne consegue che dal  petitz boutz d’homme voulentiers cholericque (per le note ragioni) questa volta a difendervi tocca a voi, con la matita.

Non è un obbligo, ma una facoltà.

Se non lo farete, poi recriminerete.

Io, dall'alto del Calvario, girerò le spalle e ad ombrìa vedrò, ancora per qualche decina di migliaia di anni, l'Adriatico, attraverso la Forchetta, giù per la valle dell'Aventino:


che non è quella cosa politica di cui ogni tanto v'è capitato di vaneggiare a voi, nel vostro tormentato delirio ossessionato dal miraggio grottesco di governi fatti cadere... sottraendogli l'opposizione!, ma quello che sgorga a Capo di Fiume dopo essersi ingrottato al Quarto di Santa Chiara, proprio lì, dietro la spalla del Pizzalto.

Poi dicono che evaporerà, il mare, ma se dovessi scommetterci un euro che non potrei riscuotere, direi che sia più facile che geli.

Questa, però, rientra nelle tante cose di cui io non ho contezza, che poi spesso coincidono con quelle su cui voi vi estenuate in goffe ordalie nella cloaca nera.

(...ed è il desiderio di sottrarmi ai suoi miasmi che mi spinge a cercare l'aria dell'altitudine...)

Instant QED

 


“Sei pessimista! Ma che dici!? Dai, su, siamo seri! Non potrà succedere! Non starai parlando di una guerra guerreggiata sul territorio dell’UE? È impossibile perché c’è Lue/Lanato che ci dà Lapace!…” e via così per dodici anni.

Poi, tutt’a un tratto, uno statista dalla personalità complessa e affascinante si rende conto che a casa sua non lo voterà neanche sua nonna (tant’è che pare che Renzi voglia candidarsi con lui, ma in posizione blindata nel listino bloccato, per non correre rischi), ed ecco che per alzare l’attenzione e beneficiare del “rally around the flag” si torna ai vecchi classici: l’aggressione esterna.

E a riconferma che la storia si ripete come farsa, mentre nel 1914 sta solfa poteva avere un senso, nel 2024 è tragicamente farsesca, perché basta leggersi, anche da turisti del dibattito, il post precedente per rendersi conto che nessuna aggressione esterna potrà essere più distruttiva di quella aggressione interna che abbiamo chiamato svalutazione interna.



giovedì 2 maggio 2024

Le regole in tre diapositive

(... mi avete tolto la voglia di scrivere. Vedo il lato positivo: un soft landing nell'aldilà prevede un fisiologico attutimento dei desideri e delle ragioni dell'aldiqua. Altro lato positivo: voi non volete vincere, e io non voglio perdere, quindi non siamo esattamente fatti l'uno per gli altri - né io l'ho mai sostenuto, a differenza dei tanti che "ah ma che bel commento!" o "ah ma che bella la mia community!". La favola del bobolo giusto è santo è semplicemente l'antipolitica in disguise. Io so quello che vi ho dato, so quello che mi avete tolto, so a cosa è servito e so quello che ci aspetta. Io so. Quindi non scrivo, né scriverò, più per voi: scriverò per me, sicut erat in principio...)

Nello scorrere il comunicato stampa dell'ISTAT riferito alle ultime stime preliminari del Pil mi è balzata all'occhio una cosa, questa:


Il discorso per me potrebbe chiudersi qui. Aggiungo però una chiosa a beneficio dei lettori futuri (dei presenti sinceramente faccio a meno). 

Quello che dovrebbe essere evidente al lettore che non c'è (ma forse un giorno, fra dieci anni, ci sarà) è questo:


Dopo lo shock COVID, che situo dove è storicamente situato, cioè nel primo trimestre del 2020, ci sono voluti solo sette trimestri per tornare abbastanza vicini alla tendenza "storica" (calcolata sui cinque anni antecedenti allo shock), e dieci trimestri per tornarci sostanzialmente sopra.

Chi è qui da un po' dovrebbe sapere che cosa è successo, invece, dopo lo shock GFC (Great Financial Crisis), che situo dov'è storicamente situato, cioè nell'ultimo trimestre del 2008 (il crollo Lehman avvenne alla fine del trimestre precedente). Accadde questo:


Notate che per rendere i grafici a prova di coglione ho usato esattamente la stessa scala verticale, e già questo dovrebbe contenere una lezione importante, che affido ai commenti di un ipotetico lettore futuro.

Qual è la differenza fra la reazione allo shock COVID e la non-reazione allo shock GFC? Semplice! Questa:


Lo shock GFC (2008 e seguenti) è stato gestito applicando le regole, lo shock COVID è stato gestito sospendendo le regole, applicando la general escape clause che esisteva nel 2009 come nel 2020, ma che nel 2009 non si volle applicare perché c'erano dei conti da regolare, come abbiamo visto infinite volte. La differenza fra gestione dello shock con le regole o senza le regole possiamo vederla anche in una singola diapositiva, questa:


Chiaro, no? Se non è chiaro, siamo qui per delucidare. Ma c'è ancora bisogno di delucidazioni, ora che quello che noi sapevamo e avevamo denunciato con tanta forza è stato confessato dal suo principale ispiratore?


Come vi ho sempre detto, l'austerità è stata un'aggressione deliberata (lo dice LVI) al nostro Paese, ai vostri risparmi, al nostro stile di vita. I motivi di quella aggressione sono chiari e vi furono spiegati. Ora non ci voglio perdere altro tempo. Si dovrebbe parlare solo di questo, e se non lo si fa di un'unica cosa sono certo: che la colpa non è mia, perché io non solo l'avevo detto tredici anni prima:


(se interessa, l'articolo è ancora qui, e suggerirei di stamparlo), ma l'ho anche ripetuto in aula, nell'indifferenza generale:


Non c'è salvezza per un "bobolo" che si lascia fare impunemente una cosa simile. Questa cosa gli era stata spiegata prima, con tutta la lucidità e la forza della disperazione, sormontando tutti gli ostacoli che oggi diventano, in altri, ridicoli contesti, casi nazionali (le aule universitarie negate, il libro rifiutato dal Salone di Torino, la censura nei dibattiti a sinistra: tutte cose condivise a suo tempo qui facendoci una bella risata sopra). Ma non mi deludono i coglioni di sinistra: ci siamo soffermati per più di un decennio, ormai, sulla loro antropologia minore, costruita sulla falsa pretesa antisocratica di "sapere di sapere" e sulla sicumera di essere "dalla parte giusta della Storia" (o almeno, della storia di cui hanno il monopolio), quella che li porta a negare, col fascismo che gli è congenito, la parola agli altri, legittimando questo fascismo autentico in nome di un antifascismo posticcio (altra grande scoperta di questi giorni, pare: eppure sono tredici anni che qui ci combattiamo)!

Sono pecore che temono il lupo, chiamandolo "ordoliberismo", "neoliberismo", "neoqualcosismo"), e vengono, come da copione, portate al macello dal loro pastore: il PD. Disprezzarle sarebbe dar troppa importanza a queste fetecchie, ma compatirle sarebbe certamente inappropriato...

Mi deludete voi, per diversi motivi, di fatto riconducibili a uno: il vostro consenso, i vostri complimenti, il vostro encomio era servo perché era falso. In verità, nel vostro cuore albergava e tuttora alberga la convinzione superba e sciocca di saperne più di chi vi ha aperto gli occhi (e continua a farlo) ed è a contatto con le cose (che a voi giungono solo dai giornali), e la sua gemella scema, la fuuuuuuuuuuuurbizia, quella forma particolare di narcisismo autolesionistico consistente nel non affidarsi a chi in tanti anni ha dimostrato non solo preveggenza (rileggetevelo, il mio articolo sul Manifesto: c'era tutto!), ma anche spirito di servizio (pensate che i convegni si organizzino da soli? Potreste essere riavvicinati alla durezza del vivere...), disinteresse (lo stesso col quale vi sto mandando affanculo, ad esempio), e soprattutto aderenza alla logica elementare.

Ai puri e duri (de coccia), a chi si abbandona alla tentazione della desinenza in "-etta", ripeto qui quello che ho detto su Facebook. Siamo in democrazia, e questo implica due cose: primo, che esista un dibattito; secondo, che le decisioni si prendano a maggioranza. 

Declino qui alcuni corollari.

Il primo è che, anche aderendo alla versione oleografico-complottista del nostro dibattito interno, quella che voi (che vi credete fuuuuuuuuuuuuuurbi) vi bevete a garganella da giornali che sono vostri nemici, che vi odiano, che hanno sponsorizzato l'aggressione deliberata al nostro Stato sociale, anche aderendo alla leggenda nera di Giorgetti (su cui avrei molto da dire: partirei dal dato banale che chi descrive il nostro partito come spaccato in due ha interesse a spaccare in due il partito), anche dando per buone le cazzate che vi lasciate propinare, presumere che io non sappia che cosa succede nel mio partito equivale a darmi del coglione! Serendippo può tranquillamente dire che io non conto un cazzo, esattamente come diceva che non sarei stato ricandidato (perché Giorgetti ecc.). Fatto sta che il claim della nostra campagna elettorale l'ho creato io sette anni fa (quando non era nel partito) e se viene ripreso ora questo qualcosa vorrà dire, no? Ma senza che ve ne rendiate conto, dentro molti frinisce un piccolo Serendippo.

Il secondo corollario parte da qui: nel momento in cui vedete che nel partito, pur con un dibattito interno che esiste ovunque (ma perché non mi parlate un po' del PD, anziché di Giancarlo?), la linea presa è quella nella quale avete creduto e avete dato consenso, e che proprio perché potrebbe non essere l'unica linea andrebbe sostenuta col vostro consenso, che cosa fate? "Ah, no, io non ti voto perché tu non conti niente e poi il partito va da un'altra parte perché la punturina, il green pass, la rava e la fava...".

Ma siete veramente così cretini, o vi piace solo sembrarlo?

Lo avete capito sì o no che ci sono temi minoritari, perché sono temi che non interessano o sui quali non si è costruito, e che quindi tatticamente vanno gestiti in altro modo, per evitare quello che sta succedendo col tweet di Claudio sull'OMS, che non è esattamente un enorme successo, nonostante le aspettative dei semomijoni, almeno se lo confrontiamo con quello sul MES, che invece è stato un successo perché non toccava un tema minoritario e perché c'erano anni di consapevolezza costruita qui!

Ma a che serve creare consapevolezza, se quando ci dovete essere la vostra grillanza, di cui siete tutti fradici, come io sono fradicio della bava dei complimenti di persone che mi elogiavano prendendomi in cuor loro per un cojone, vi porta a essere altrove?

Prima su Twitter qualcuno ha detto "ah, sì, a Vergate sul Membro ci vengo perché mi torna comodo!" Ecco: a me non torna comodo, e avrei anche altro da fare, anzi: l'ho sempre avuto. Ma voi all'impegno preferito il divano e alla logica Serendippo.

Che cosa può andare storto?

Avete trentasette giorni per dimostrare di aver capito, per restituire a chi ve l'ha fatto quello che vi è stato fatto, di cui sopra avete una diapositiva, per assestare una bella mazzata al PD ed evitare che torni sul suo trend storico. Perché il PD da due cose trae alimento: dalla gestione del potere (e dalla greppia delle lottizzazioni lo abbiamo staccato, e se non foste quello che ahimè avete dimostrato di essere dovreste godere e rafforzarvi nelle vostre convinzioni ascoltando le sue querimonie) e dall'UE.

E ora avete la possibilità di dare una raddrizzata anche all'UE.

Lo farete?

Sapete che c'è?

Ma anche chi se ne frega! Purtroppo, e sottolineo purtroppo, questi quattordici anni di impegno, a partire dai primi articoli su sbilanciamoci, sono stati una grande lezione sul rapporto fra individuo e storia, sulla logica della rappresentanza e della democrazia. Torno su quello che ho capito nei tanti anni di studio e di esperienza. Ricorderete i cretini che "la fine delle unioni monetarie porta alla guerra". I fatti e la logica indicano che è il contrario, ovviamente: le sconfitte determinano la fine delle unioni monetarie (basta pensare agli effetti sull'impero austroungarico della sconfitta nella Prima guerra mondiale). Per questo motivo, e per altri di cui abbiamo parlato tante volte, fra non molti anni (non credo che ne abbiamo altri tredici davanti, come quelli che ci separano dall'articolo sul manifesto) le nostre decisioni, le nostre aspirazioni, le nostre convinzioni, e anche le nostre istituzioni, si sgretoleranno contro qualcosa di tanto tremendo quanto inevitabile. Io so che continuerò a combattere fino a quel momento, perché questa è la mia natura: non c'è pace per chi vuole pace!

Per chi vuole divano, invece, c'è divano, e per chi vuole sentirsi furbo c'è l'egemonia del PD, inevitabile se il proprio narcisismo cretino porta a non sostenere l'unico partito che contende questa egemonia perché ha trovato qui una visione alternativa del mondo cui attingere, la visione di cui ora perfino Draghi, perfino LVI, confessa cinicamente la fondatezza.

Ma sto facendo quello che non volevo fare: parlare a delle piante grasse nel deserto.

Vado a San Macuto, che è meglio.

(...la lista dei miei appuntamenti in campagna elettorale verrà data forse sui social...)

mercoledì 10 aprile 2024

“Ma lei è Totti?”

Ieri ero di turno al TG per annunciare la lieta novella del DEF. Solito circo di fronte a Montecitorio, sotto all'obelisco, selva di microfoni, telecamere, e telecamerine.

Un'apoteosi di spontaneità, in 20 secondi.

Pronti via, faccio la mia dichiarazione, ma... un microfono non parlava con la sua telecamera. L'operatore ferma tutto, si riparte.

Pronti via, mi impapero (strano ma vero, può capitare anche a me).

Ri-pronti ri-via, dico quello che devo dire (anche se in modo meno liberatorio di quanto avrei a quel punto desiderato), mi congedo con un sorriso, faccio due chiacchiere con la cortese ed efficiente accompagnatrice dell'ufficio stampa (loro sono convinti che in loro assenza i giornalisti mi mangerebbero e io apprezzo la loro premura - e anche se loro non lo sanno, la apprezzano anche i giornalisti!), e mi allontano verso nuove avventure (leggere noiosi paper sulle criptovalute per farvi divertire un po' sabato prossimo).

Mentre dribblo vari gruppetti e gruppuscoli di turisti e astanti vari, impedimento abbastanza gravoso a chi deve rimbalzare da un palazzo all'altro, sento uno: "Scusi, ma lei è Totti?"

Un giovine (molto giovine) con due amiche era di passaggio di fronte a Montecitorio, e suppongo fosse colpito da tanto interesse delle televisioni (addirittura!) per uno che non sapeva assolutamente chi fosse, con lo spirito disincantato e ironico del romano probabilmente voleva capirne di più.

Io mi avvicino, mostro la suola delle mie francesine d'ordinanza, e con un sorriso accogliente replico: "Sì, sono io, vedi i tacchetti? Ora scusa che vado ad allenarmi...".


(...mi aveva punto vaghezza di spiegargli un po' meglio la situazione, ma dovevo dedicare il mio tempo a voi, e quindi è andata così. Di una cosa sono certo: lui, il TG, non l'avrà visto. E voi? E vi ricordate di quanto: "Non andrai mai in televisione perché il potere sono cattivi e tu non hai dietro nessuno!11!1!" Beh, io avevo dietro la mia libreria, o voi, a seconda delle interpretazioni, e il problema della televisione ora non è andarci, ma evitare la seccatura, nonostante che a volte mi riservi dei faticosi momenti di ilarità, come questa mattina:


Il tempo passa, i problemi restano, le soluzioni cambiano, ma nemmeno tanto...)